C’è un famoso testo di Heidegger che potremmo anche definire “ambientalista” o “no-global” ante litteram, un testo che pone al centro del destino nichilista dell’uomo moderno l’antropocentrismo che sottende il sistema tecnico-scientifico, basato sull’affermazione globale dello strapotere della tecnica e che vede nell’uomo il fine di tutto e nella natura un semplice mezzo per soddisfare i bisogni umani. Mi riferisco al brano sulla “gelassenheit” (l’abbandono), un discorso che Heidegger tenne a Messkirch nel 1955 in memoria del suo amico compositore Conradin Kreutzer. In esso c’è la famosa distinzione tra “pensiero calcolante” e “pensiero meditante” ed il richiamo alla necessità per l’uomo di un diverso rapporto con il pianeta. Da quel famoso richiamo hanno preso ispirazione non solo gli allievi diretti di Heidegger, come Levinas, Jonas, Gadamer, ma anche tanti altri pensatori –di provienienze diverse – come Habermas, Adorno, Lovelock…veri e propri antesignani della filosofia ambientalista. In questo discorso, Heidegger ricorda come nell’estate del 1955, a Lindau, avesse avuto luogo un incontro internazionale di Premi Nobel e come, in tale occasione, il chimico americano Stanley avesse pronunciato la seguente affermazione: “Si avvicina l’ora in cui la vita stessa sarà posta nelle mani del chimico, che a suo piacimento potrà scomporre e ricomporre e modificare la sostanza vivente”. Nel provare tutti ammirazione per “l’audacia della ricerca scientifica”, però, non ci si rende conto – dice il filosofo – “che si viene preparando, proprio con questi discorsi, un attacco alla vita e all’essere dell’uomo che si avvale dei mezzi della tecnica, un attacco al cui confronto l’esplosione della bomba all’idrogeno significa ben poco. Perché proprio se la bomba H non esplode e l’uomo non si estingue dalla terra, si appresta un’inquietante trasformazione del mondo…Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica – continua Heidegger – (ma) di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo. Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca. Nessun singolo uomo, nessun gruppo di uomini, nessuna commissione, per quanto composta dai più eminenti tra gli uomini di stato, gli scienziati e i tecnici, nessuna conferenza di leaders economici e di capitani d’industria ha il potere di frenare o di dirigere il corso storico dell’era atomica. Nessuna organizzazione composta soltanto da uomini è in grado di giungere al dominio su quest’epoca. L’uomo dell’era atomica, allora, potrebbe trovarsi, sgomento e inerme, in balìa dell’inarrestabile strapotere della tecnica, e ciò accadrà senz’altro se l’uomo di oggi rinuncia a gettare in campo, in questo gioco decisivo, il pensiero meditante contro il pensiero puramente calcolante”!
“Ma una volta che il pensiero meditante è ben desto,- continua Heidegger – la riflessione sarà all’opera incessantemente, anche nei momenti che possono sembrare meno decisivi…(dandoci) la possibilità di riflettere su ciò che, nell’epoca moderna, viene ad essere minacciato in misura crescente: il radicarsi stabile delle opere dell’uomo nel proprio terreno”! Il “pensiero meditante”, secondo Heidegger, ci esorta a “non restare attaccati in maniera unilaterale ad un’unica rappresentazione…a “non corr(ere) sempre più oltre su un unico binario, nell’unica direzione in cui ci costringe una rappresentazione”, ma esso richiede da noi “che ci lasciamo ricondurre (sich einlassen) a ciò che in sé, a prima vista, appare inconciliabile”! Egli ci porta l’esempio degli impianti, delle apparecchiature, dei macchinari che caratterizzano il mondo della tecnica e che riteniamo più o meno “indispensabili”. Secondo Lui…e non possiamo, a mio avviso, dargli torto…”sarebbe folle slanciarsi ciecamente contro il mondo della tecnica, sarebbe miope condannarlo in blocco come opera del diavolo. Ormai dipendiamo in tutto dai prodotti della tecnica, siamo costretti senza tregua a perfezionarli sempre di più. Essi ci hanno, per così dire, forgiati a nostra insaputa e così saldamente che ne siamo ormai schiavi”! Tuttavia, secondo Heidegger, possiamo anche comportarci altrimenti, facendo uso dei prodotti della tecnica e, “nello stesso tempo, in qualsiasi utilizzo che ne facciamo, mantenercene liberi, così da potere in ogni momento farne a meno (loslassen)”! Possiamo, cioè, far pure uso dei prodotti della tecnica, conformandoci al loro modo d’impiego, “ma possiamo allo stesso tempo abbandonarli a loro stessi (auf sich beruhen lassen), considerarli qualcosa che non ci tocca intimamente e autenticamente”. Possiamo dire di sí all’uso inevitabile dei prodotti della tecnica…ma, allo stesso tempo, “possiamo dire loro anche di NO, impedendo che prendano il sopravvento su di noi e che deformino, confondano, devastino il nostro essere”!
Dicendo allo stesso tempo SÍ e NO ai prodotti della tecnica, il nostro rapporto col mondo della tecnica – piuttosto che diventare ambiguo e incerto – diventerà invece semplice e sicuro. “Si tratterà infatti – precisa il filosofo – di lasciar entrare nel nostro mondo di tutti i giorni i prodotti della tecnica e allo stesso tempo di lasciarli fuori, di abbandonarli a sé stessi come qualcosa che non è nulla di assoluto, ma che dipende esso stesso da qualcosa di più alto”! Heidegger definisce questo dire al tempo stesso sí e no al mondo della tecnica con un’antica parola: “l’abbandono di fronte alle cose (die Gelassenheit zu den Dingen = l’abbandono delle cose e alle cose)”. In tal modo riusciremo infatti a non vedere più le cose soltanto dal punto di vista della tecnica, ma a vedere e riconoscere che la produzione e l’uso delle macchine esige da noi, in verità, un altro rapporto con le cose. “Vediamo ad esempio l’agricoltura e l’economia rurale – dice Heidegger – far uso di macchinari, trasformarsi in industria alimentare, (vedamo) come in questo ed in altri campi, abbia luogo una profonda trasformazione nel rapporto dell’uomo alla natura e al mondo! “Noi non sappiamo – dice il filosofo – a che cosa porterà il dominio della tecnica che si sta estendendo in maniera sempre più inquietante. … Però teniamo sempre ed espressamente conto che dappertutto nel mondo della tecnica ci viene incontro un senso nascosto…che in questo modo si mostra e allo stesso tempo si ritrae (e che) è il tratto fondamentale di ciò che chiamiamo il mistero”. L’abbandono (die Gelassenheit) di fronte alle cose e l’apertura al mistero ci offrono “la possibilità di soggiornare nel mondo in un modo completamente diverso, ci promettono un nuovo fondamento, un nuovo terreno su cui poterci stabilire, su cui poter sostare senza pericolo all’interno del mondo della tecnica…ci permettono di intravedere la possibilità di un nuovo modo di radicarsi dell’uomo nel proprio terreno…un nuovo modo (che) potrebbe addirittura un giorno risultare adatto per richiamare a noi, seppure in forma mutata, il vecchio modo che oggi sta velocemente scomparendo”. Tuttavia, per Heidegger, “la rivoluzione della tecnica che ci sta travolgendo nell’era atomica potrebbe riuscire ad avvincere, a stregare, a incantare, ad accecare l’uomo, così che un giorno il pensiero calcolante sarebbe l’unico ad avere ancora valore, ad essere effettivamente esercitato”! Il pericolo – avverte il filosofo – consiste nel fatto che “si troverebbero accoppiati l’acume intellettuale più efficace e produttivo, che è proprio dell’invenzione e della pianificazione calcolante, e la completa indifferenza verso il pensiero, la totale assenza di pensiero…. E’ necessario pertanto salvare l’essenza dell’uomo, è necessario tener desto il pensiero….(con) l’abbandono di fronte alle cose e l’apertura al mistero (che) non accadono mai senza il nostro consenso (fallen uns niemals von selber zu), non sono affatto degli accadimenti casuali…(ma) scaturiscono soltanto da un pensiero incessante e appassionato (herzhaft)”! “Se teniamo desto in noi l’abbandono di fronte alle cose e l’apertura al mistero,- conclude Heidrgger – potremo raggiungere quella via che conduce ad un nuovo fondamento, ad un nuovo terreno…(sul quale) la creazione di opere durature potrebbe gettare nuove radici”, citando infine le parole di Johann Peter Hebel: “Siamo disposti o no ad ammetterlo, noi siamo piante che debbono crescere radicate nella terra, se vogliono fiorire nell’etere e dare i loro frutti”.