La filosofia di Emanuele Severino costituisce la testimonianza della verità assolutamente innegabile, quella verità – così l’ho sentito spesso esprimersi nel corso delle sue lezioni – che “né dèi né uomini possono negare”.
Tale verità viene testimoniata dal discorso filosofico che possiede la struttura tradizionalmente chiamata “elenctica”, quella cioè che fornisce la fondazione ultima del valore di un discorso. Il procedimento detto elenctico, infatti, mostra l’assoluta, incontrovertibile verità di ciò la cui negazione è autonegazione, quindi contraddizione.
Per esempio – per richiamarci al fondamentale scritto ‘Ritornare a Parmenide’ – l’affermazione (p) “Il positivo si oppone al negativo” è innegabile perché chi intendesse negarla – dicendo per esempio “Non è vero che il positivo si oppone al negativo” (non-p) – con ciò stesso sarebbe costretto ad affermare che quel positivo in cui consiste la sua affermazione (non-p) si oppone al proprio negativo, ovvero a (p); ma in tal modo egli stesso sarebbe costretto ad affermare proprio ciò che a parole intende negare, e sarebbe quindi costretto a negare il contenuto dell’affermazione che pronuncia.
Naturalmente la questione, guardata da vicino, risulta più complessa – e per certi versi anche molto, molto più complessa – di quanto questa sintetica formulazione potrebbe lasciare intendere; e tuttavia tale presentazione è sufficiente a farci cogliere il senso di questo fondamentale tratto dell’impostazione severiniana.
Del resto tale aspetto (cioè la fondazione che abbiamo chiamata elenctica) costituisce solo un primo, sia pur decisivo, momento della filosofia di Severino. Il secondo aspetto – altrettanto decisivo – consiste nel rilevare che, se si tiene fermo ‘in generale’ che il positivo si oppone al negativo, ovvero che “l’essere non è non essere”, allora da ciò segue immediatamente che tutto l’essere è eterno; proprio nel senso che ogni sia pur minimo aspetto dell’essere – ovvero qualsiasi ente, anche il più infimo – è eterno.
Infatti negarne l’eternità equivarrebbe ad affermare che vi può essere un momento del tempo in cui esso (che in quanto è qualcosa è essere e non niente) non è, e quindi è non essere, è niente. Sempre da questo segue inesorabilmente che non vi è divenire, se con questo termine si intende il passaggio dall’essere al nulla o, viceversa, dal nulla all’essere. Ma se non vi è il divenire, allora non vi può essere nemmeno qualcosa come una trasformazione degli enti: nulla può trasformarsi in qualcosa d’altro da ciò che è (da ciò che eternamente è), perché altrimenti si realizzerebbe l’annullamento almeno di quegli aspetti il cui venir meno costituisce appunto la condizione della possibilità della trasformazione.
Questa verità consente di gettare uno sguardo nuovo e sorprendente sulla vicenda umana e la sua storia: Per esempio consente di comprendere come, all’interno della fede nichilistica che le cose possono trasformarsi e quindi in ultima istanza annullarsi, l’ultima parola spetti alla Tecnica (dal momento che questa è la rigorizzazione massima dell’illusoria persuasione di poter trasformare le cose); ma poi anche come la Tecnica stessa, costituendo una dimenticanza radicale del senso autentico dell’essere (cioè la sua eternità), sia destinata a tramontare nello sguardo della verità.
La fede in cui consiste le Tecnica è – dal punto di vista della verità severiniana – una follia, appunto perché è convinta che l’agire umano possa trasformare la realtà facendola diventare altro da ciò che essa è.
Attenzione, però: bisogna guardarsi dall’idea che allora il pensiero di Severino costituisca un invito a operare in modo da superare l’agire tecnico, perché invece, dal suo punto di vista, qualsia “fare” è espressione della volontà di trasformare la realtà, e quindi è espressione della follia nichilistica. In altri termini, nello sguardo della verità qualsiasi agire costituisce il problema piuttosto che la soluzione: il tramonto della Tecnica e sì destinato ad accadere, ma non come risultato di una volontà e di un conseguente agire da parte degli umani.
(Luigi Vero Tarca, La rete e il mare, sta in R. Panikkar- E. Severino, Parliamo della stessa realtà?, Jaca Book, Milano 2014, pp. 47-49).