Vasco Ursini, L’inarrivabilità millenaria della verità assoluta

Occorre trovare il coraggio di affermare con coraggiosa sicurezza che in tutti questi millenni che ci sono passati addosso nessuna verità assoluta è stato possibile afferrare.
È stata soltanto possibile una continua ricerca soggetta a continua revisione.

7 pensieri riguardo “Vasco Ursini, L’inarrivabilità millenaria della verità assoluta

  1. Sono perfettamente d’accordo con quanto affermato dal Professore Ursini e cioè che la verità assoluta può solo venire cercata, non trovata. Ciò che ci anima è l’intenzione di verità, che verso la verità ci sospinge. Ciò che ci acceca è la pretesa di avere trovato la verità, la quale, se assoluta, una volta determinata viene per ciò stesso negata.

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  2. Sono perfettamente d’accordo con il Professore Ursini e cioè che la verità assoluta può solo venire cercata, non trovata. Ciò che ci anima è l’intenzione di verità che ci sospinge verso la verità; ciò che ci acceca è la pretesa di avere trovato la verità, la quale, se è assoluta, non può venire determinata.

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  3. Sono perfettamente d’accordo con quanto affermato dal Professore Ursini e cioè che la verità assoluta può venire cercata, ma non trovata. Ciò che ci anima è l’intenzione di verità, che verso la verità ci sospinge. Ciò che ci acceca è la pretesa di possedere la verità, che è la negazione stessa della verità, in quanto verità assoluta e, quindi, non determinabile.

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  4. Mi scuso per il fatto che il mio commento ritorna 3 volte. Il fatto è che scompare dal blog e, allora, l’ho inserito di nuovo. Non capisco perché scompaia: esprimo totale accordo con il Professore Ursini, che però contraddice la posizione di Severino, per il quale la verità è raggiungibile e, dunque, è determinabile.

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  5. A margine di quanto già fatto rilevare dal Prof. Stella, con il quale mi trovo pienamente concorde, mi permetto di far notare, esplicitando quanto già scritto dal Professore, che la verità, per poter venire determinata, richiederebbe l’altro da sé (grazie a tale “altro” appunto si de-terminerebbe, configurandosi quindi come “dicibile”, formulabile, esprimibile in una definizione). Senonché, l’altro dal vero è il non-vero e, in tale relazione oppositiva, la verità coesisterebbe con la sua negazione; sicché, la pretesa originarietà di tale relazione (di “verità e non-verità”) si convertirebbe nella “originarietà” della contraddizione stessa (coesistenza su di un medesimo piano di “verità et non-verità”, entrambe poste in tale opposizione), la quale sarebbe la dissoluzione radicale della verità.

    Scriveva Giovanni Romano Bacchin, grande maestro di teoresi di cui Aldo Stella è erede e continuatore: «La negazione impossibile della verità è tale sia come proposizione “il vero non è”, sia come proposizione “questo è il vero”, sia come agnosticismo nei confronti del vero, sia come pretesa di dire il vero come cosa. In questo senso, l’ontologia, quale pretesa semantizzazione dell’essere, è la struttura della non-verità.» (metafisica originaria, 1970, pro manuscripto, p. 83).

    E lo stesso Prof. Stella, che ha dedicato due ponderosi tomi all’esposizione analitica e soprattutto critica dell’opus maius severiniano (sottolineo “critica”, poiché esposizioni pedisseque del pensiero di Severino ve ne sono molteplici ed ottime; ben altra cosa è indagare il “non detto” ovvero i presupposti del testo di un teoreta quale Severino è), scrive in un passo che riporto perchè mi sembra magistrale per rigore e chiarezza e perchè anticipa una prevedibile obiezione alla formulazione, a sua volta inevitabilmente determinata come ogni formulazione, della indeterminabilità del vero – credo che il Prof. Ursini non potrà non convenire, dato ciò che scrive nel suo post che stiamo commentando.
    Rammento che Severino utilizza dichiaratamente e programmaticamente il verbo “possedere” in riferimento alla verità: «Essere nella verità […] – esserlo in modo che, insieme, non si sia un non esserlo – significa possederla, saperla, comprenderla.» (La struttura originaria, 1981, p. 137).

    “[…] ciascuno dei due enunciati – «La verità è indeterminabile» e «La verità è determinabile» – si pone solo in quanto l’uno si contrappone all’altro: essi, insomma, sono intrinsecamente connessi, se considerati dal punto di vista formale.
    Se si risponde con il primo enunciato, si costruisce una contraddizione, che sussiste tra la forma e il contenuto dell’enunciato stesso: si nega la determinabilità della verità, ma si usa la parola «verità» attribuendole, quindi, un significato implicito e, dunque, determinandola. La verità è determinata, se non altro come «indeterminabile».
    Nel secondo caso, non si configura una contraddizione a una sola condizione: a condizione di presupporre la verità come relativa, cioè come segnata da un limite. Affermare che la verità è determinabile equivale a negare l’assolutezza della verità, che però coincide con il suo essere autentico. […]
    Ebbene, se con il primo enunciato si configura una contraddizione solo formale, perché investe il dire e non la verità, di contro, con il secondo enunciato, si confi gura una contraddizione strutturale, perché si nega ciò che si richiede: si richiede che la verità sia assoluta, per essere autentica, ma poi la si determina, per poterla strumentalizzare, ossia per poterle far svolgere la funzione del fondare. […]
    L’esito non può non essere questo: tra una contraddizione formale, legata al limite che intrinsecamente struttura il linguaggio, e una contraddizione strutturale, che contraddice l’essere stesso della verità (il secondo enunciato vale come il contraddirsi stesso della verità), non si può non scegliere la prima e pronunciare l’enunciato «La verità è indeterminabile».”
    (A. Stella, Il concetto di «relazione» nell’opera di Severino. A partire da «La struttura originaria», Guerini e Associati, 2018, pp. 462-464.

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  6. A margine di quanto già fatto rilevare dal Prof. Stella, con il quale mi trovo pienamente concorde, mi permetto di far notare, semplicemente esplicitando quanto già scritto dal Professore, che la verità, per poter venire determinata, richiederebbe l’altro da sé (grazie a tale “altro” appunto si de-terminerebbe, configurandosi quindi come “dicibile”, formulabile, esprimibile in una definizione).
    Senonché, l’altro dal vero è il non-vero e, in tale relazione oppositiva, la verità coesisterebbe con la sua negazione; sicché, la pretesa originarietà di tale relazione (di “verità e non-verità”) si convertirebbe nella “originarietà” della contraddizione stessa (coesistenza su di un medesimo piano di “verità et non-verità”, entrambe poste in tale opposizione), la quale sarebbe la dissoluzione radicale della verità.

    Scriveva Giovanni Romano Bacchin, grande maestro di teoresi di cui Aldo Stella è erede e continuatore: «La negazione impossibile della verità è tale sia come proposizione “il vero non è”, sia come proposizione “questo è il vero”, sia come agnosticismo nei confronti del vero, sia come pretesa di dire il vero come cosa. In questo senso, l’ontologia, quale pretesa semantizzazione dell’essere, è la struttura della non-verità.» (metafisica originaria, 1970, pro manuscripto, p. 83).

    E lo stesso Prof. Stella, che ha dedicato due ponderosi tomi all’esposizione analitica e soprattutto critica dell’opus maius severiniano, scrive in un passo che riporto perchè mi sembra magistrale per rigore e chiarezza e perchè anticipa una prevedibile obiezione alla formulazione, a sua volta inevitabilmente determinata come ogni formulazione, della indeterminabilità del vero.

    Rammento che Severino utilizza dichiaratamente e programmaticamente il verbo “possedere” in riferimento alla verità: «Essere nella verità […] – esserlo in modo che, insieme, non si sia un non esserlo – significa possederla, saperla, comprenderla.» (La struttura originaria, 1981, p. 137).

    Nel successivo commento riporto il passo tratto annunciato.

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  7. “[…] ciascuno dei due enunciati – «La verità è indeterminabile» e «La verità è determinabile» – si pone solo in quanto l’uno si contrappone all’altro: essi, insomma, sono intrinsecamente connessi, se considerati dal punto di vista formale.
    Se si risponde con il primo enunciato, si costruisce una contraddizione, che sussiste tra la forma e il contenuto dell’enunciato stesso: si nega la determinabilità della verità, ma si usa la parola «verità» attribuendole, quindi, un significato implicito e, dunque, determinandola. La verità è determinata, se non altro come «indeterminabile».
    Nel secondo caso, non si configura una contraddizione a una sola condizione: a condizione di presupporre la verità come relativa, cioè come segnata da un limite. Affermare che la verità è determinabile equivale a negare l’assolutezza della verità, che però coincide con il suo essere autentico. […]
    Ebbene, se con il primo enunciato si configura una contraddizione solo formale, perché investe il dire e non la verità, di contro, con il secondo enunciato, si confi gura una contraddizione strutturale, perché si nega ciò che si richiede: si richiede che la verità sia assoluta, per essere autentica, ma poi la si determina, per poterla strumentalizzare, ossia per poterle far svolgere la funzione del fondare. […]
    L’esito non può non essere questo: tra una contraddizione formale, legata al limite che intrinsecamente struttura il linguaggio, e una contraddizione strutturale, che contraddice l’essere stesso della verità (il secondo enunciato vale come il contraddirsi stesso della verità), non si può non scegliere la prima e pronunciare l’enunciato «La verità è indeterminabile».”
    (A. Stella, Il concetto di «relazione» nell’opera di Severino. A partire da «La struttura originaria», Guerini e Associati, 2018, pp. 462-464.

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