Molti amici mi hanno chiesto quale rapporto ci sia tra metafisica, epistéme e destino (nell’accezione severiniana).
Rispondo dicendo che negli scritti di Severino la parola ‘destino’ indica lo stare della verità, cioè l’incontrovertibile nel cui cerchio è accolta la terra e l’isolamento della terra.
L’ ‘epistéme’ invece è il tentativo compiuto dal pensiero greco, che però è fallito, di evocare l’assolutamente stante. Solo al di fuori della fede nel divenire può mostrarsi l’assoluta incontrovertibilità del destino, la quale è però avvolta dalla contraddizione C.
Tra metafisica e epistéme non c’è assoluta identità perché nella storia dell’Occidente c’è stata epistéme anche là dove non c’è stata metafisica. Ad esempio, un sapere epistemico non metafisico è il criticismo kantiano che esclude la metafisica dalla scienza. Tale esclusione, e cioè la “critica della ragion pura” ha un carattere pienamente epistemico.
Un secondo esempio di sapere epistemico è il pensiero di Hume che afferma l’innegabilità del principio di non contraddizione e, dunque, dà spazio all’epistéme.
L’epistéme è metafisica perché oltre ad essere un principio innegabile è in grado di mostrare il senso stabile e divino che avvolge, fonda e guida il mondo del divenire.
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