segnalazioni a cura di LA SEVERINIANA DI CCS-ASES, 28 febbraio 2025

Severino e Platone /

Severino e l’interpretazione della filosofia hegeliana

Anche per questo settimo numero della newsletter, la redazione di CCS-ASES ha selezionato dei temi peculiari della filosofia severiniana da condividere con voi. Il nostro intento è quello di continuare a divulgare e preservare il pensiero di una delle menti più brillanti del panorama filosofico italiano e non, vissuta a cavallo tra il XX e il XXI secolo.

Di seguito, dunque, alcune letture, tratte dai testi di Severino: le prime si concentrano sul suo dialogo con il pensiero platonico, mentre le successive riguardano l’interpretazione severiniana della filosofia di Hegel.

Buona lettura!

Severino e Platone

«Introducendo un μεταξύ fra l’essere e il nulla (Civitas, V, 477-480), Platone segna il destino dell’Occidente. Libera il pensiero che diverrà protagonista sempre più esigente della nostra storia: l’affermazione di una dimensione in cui è contenuto ciò che nasce e muore, ossia ciò che, partecipando dell’essere  e del niente, non era e non sarà più, era un niente e sarà ancora un niente. Platone lascia in eredità agli uomini il ‘mondo’. […] Prima di lui non c’è mondo, come non c’è produzione e distruzione: restano nascosti, in attesa di essere chiamati alla luce. Perché il ‘mondo’ (il μεταξύ tra l’essere e il niente) venga alla luce, si devono chiamare innanzitutto alla luce l’essere e il niente. […] Il mondo, in quanto intermedio tra l’essere e il niente, è sopraggiunto solo perché si è prestata attenzione all’essere e al niente, ma il suo sopraggiungere è stato l’abbandono della verità dell’essere e del niente» (La legna e la cenere. Discorsi sul significato dell’esistenza, Adelphi, Milano 1982, pp. 146-147).

«L’indicazione di un mondo ideale intelligibile (in contrapposizione e in relazione a quello sensibile) consente a Platone il recupero di un rapporto positivo con la verità: la “verità” (che era stata ridotta, in Socrate, al sapere di non sapere) viene identificata da Platone alla conoscenza del mondo ideale intelligibile. La verità incontrovertibile, infatti, non può essere che conoscenza dell’idea, cioè dell’essere immutabile, assoluto» (Antologia filosofica. Dai greci al nostro tempo, p. 74).

«Di contro alla verità (epistéme) sta quella che Platone (con Parmenide) chiama opinione (dòxa), la conoscenza (depotenziata, rispetto all’epistéme) del mondo sensibile. Là dove l’oggetto della verità-epistéme è l’idea immutabile, quello dell’opinione-dòxa è qualcosa che, pur non essendo l’essere assoluto, partecipa ad esso: qualcosa di intermedio tra l’essere assoluto e il puro nulla» (Ibid.).

Severino e l’interpretazione della filosofia hegeliana

«Come Platone e Aristotele, Hegel difende l’incontraddittorietà dell’ente; anch’egli si propone di tutelare l’opposizione del non niente e del niente. Ma, proprio per questo, anche Hegel identifica l’essere e il niente: non nel senso tematizzato dalla prima triade della Logica, ma nello stesso senso in cui Platone e Aristotele identificano l’essere e il niente. Nell’atto stesso in cui afferma la contrapposizione dell’ente e del niente, il pensiero metafisico consente che l’ente sia un niente: Hegel contrappone l’ente (Daseyn) al niente, ma distingue gli enti finiti, il cui destino è di nascere e perire – ossia di essere stati e di tornare ad essere nulla -, dall’ente privilegiato, che è lo stesso eterno divenire del finito» (La terra e l’essenza dell’uomo, in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, p. 223).

«L’idealismo hegeliano è effettivamente un grande ritorno all’inizio della storia del pensiero filosofico, cioè alla filosofia greca. E dà quindi a questa storia la forma […] di un circolo, dove il punto di partenza si trova, insieme, estremamente lontano ed estremamente vicino a sé stesso; dove l’inizio ha il suo estremo approfondimento e quindi è, insieme, del tutto superato e del tutto conservato. Ciò è innanzitutto visibile nel rapporto tra identità immediata e identità mediata di certezza e verità – che è appunto il rapporto tra realismo tradizionale e idealismo»

(La filosofia dai greci al nostro tempo. La filosofia moderna, BUR, Milano 2004, p. 396)

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