SEVERINO IN DIALOGO CON DEI GIOVANI
(D = domanda; R = risposta)
D – Cos’è la verità?
R – La verità – definiamola in modo formale – è l’apertura di senso che è incontrovertibile, perché è l’unico senso che goda di questa proprietà: di essere ciò la cui negazione è autonegazione. Se ci fosse un bersaglio, tale che ogni freccia scagliata contro di esso fosse un auto-colpirsi, un distruggersi, allora quel bersaglio sarebbe l’assolutamente non colpibile. Non solo ogni freccia, ma ogni forza, ogni cosa che intendesse distruggerlo: se ci fosse una “cosa”, tale che ogni altra “cosa” gettata contro di essa fosse un negarsi, allora quella “cosa” sarebbe l’Innegabile.
Ecco: per “verità” intendo appunto la struttura concreta che in concreto mostra la propria innegabilità: nel senso che ogni ‘no’, ogni negazione di essa è autonegazione. Allora essa sta in una solitudine sovrana, perché è l’Innegabile, l’Incontrovertibile …
D – Quindi l’Incontrovertibile è dicibile…
R – Certamente. Questo non vuol dire però che il dire sia un riuscire a esprimere.
D – … o un riuscire a comprendere.
R – O un riuscire a comprendere, certo: non si può dire che il linguaggio porti nella parola la trasparenza dell’Incontrovertibile. Il linguaggio, anzi, arrischia l’Incontrovertibile nell’equivoco. La dicibilità non ha nulla a che vedere con il sogno neopositivistico della costruzione di un linguaggio perfetto che tolga gli equivoci tra gli uomini.
No, incontrovertibilità non vuol dire questo. Tutti gli uomini sono individui; e quindi il loro dialogo è essenzialmente un equivoco; e quindi è illusorio ogni tentativo degli uomini di buona volontà di mettere d’accordo l’umanità attraverso il dialogo. Questa sì che è “utopia” nel senso negativo del termine!. E’ impossibile capirci, per noi, in quanto individui! Se “dicibilità” vuol dire il capirsi fra individui, allora la verità ‘non’ è “dicibile”.
(Emanuele Severino, La legna e la cenere, Rizzoli, Milano 2000, pp. 235 – 236).
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