Intorno al concetto di “salvezza”
Occorre cautela in relazione al concetto di “salvezza”. Cominciamo con il dire che lungo la storia dell’Occidente, la filosofia ha certamente avuto una funzione salvifica, ha espresso senza alcun dubbio una volontà di salvezza. E ha avuto questo atteggiamento perché ha concepito l’uomo come qualcosa che ha bisogno di essere salvato: l’uomo e insieme la totalità dell’ente che si manifesta all’uomo e a cui l’uomo appartiene.
All’opposto gli scritti di Emanuele Severino si rivolgono al destino della necessità, dove appare che l’uomo è originariamente salvo perché l’essente, in quanto essente, è eterno, cioè salvo dal nulla.
Come testimonianza del destino della necessità, la filosofia non ha quindi una funzione salvifica, appunto perché è la manifestazione dell’originaria salvezza dell’uomo, del suo essere originariamente salvo.
Come pensiero dell’Occidente la filosofia, al contrario, accentua in modo estremo quel carattere effimero dell’uomo che è già presente prima dei Greci, ma che nel pensiero filosofico dell’Occidente è unito alle categorie ontologiche fondamentali, cioè all’essere e al nulla.
L’effimero, in quanto tale, sporge per poco tempo dal proprio essere nulla e vi ritorna; la salvezza è salvezza dal nulla, da parte di quelle dimensioni privilegiate dell’ente – Dio, anima – che di tale salvezza possono godere.