Nella storia dell’ uomo, segnata all’ origine dal Nichilismo preontologico (mitico-religioso, magico-alchemico) e ontologico (filosofico-epistemico), la coscienza appare quando viene testimoniata la volontà di negare la contraddizione. Quando cioè il pensiero compie il primo passo verso quel principio che poi troverà esplicita formulazione nella metafisica di Aristotele e che viene tramandato nel corso dei secoli, dei millenni, come “principio di identità o di non contraddizione”.
A questo stadio aurorale della coscienza, l’ uomo rifiuta l’ indeterminazione dei propri atti e configura l’ agire come attività cosciente che coordina mezzi in vista di scopi determinati. Nega che il diverso sia identico.
In fondo, si tratta della sua salvezza, della sua sopravvivenza nella selva oscura che gli si para dinanzi.
Ogni cosa comincia ad essere intesa come determinata in quanto tale, perciò differente dalle altre. La Natura comincia ad essere vista come la manifestazione di una molteplicità di cose. Tra esse, alcune potenze naturali sovrastanti, a cui attribuire un valore sacro e salvifico. E tanti miti dell’ Origine richiamano la metaforfosi, la morte e lo smembramento del Dio come causa/potenza produttiva del mondo nella molteplicita’ delle suoi regni, delle sue forme.
Quando la coscienza umana saprà esprimere la testimonianza del valore della Verità, comincerà ad apparire anche il senso della sua contraddizione, cioè dell’ errore, dell’ inganno, della mistificazione della Verità, della sua alienazione.
Nella storia dell’ uomo, il liguaggio ontologico della filosofia greca segna fin dalle origini l’ alienazione della Verità. La più radicale perchè appunto riguarda il valore più alto di tutta la sapienza – e si tratta di un valore proprio perchè è in grado di assicurare una forma di salvezza alla vita dell’ uomo superiore a quella già offerta dal mito e dalla religione. Questo sapere assoluto ha un contenuto eminente che sarà l’ oggetto della Metafisica nel corso dei secoli, dei millenni. E questo contenuto è l’ Essere. E l’ ente in quanto ente. La cosa in quanto cosa, ontologicamente determinata. L’ ente e non altro da se’, non alienato a se’ stesso.’.
Il passaggio dal nichilismo Parmenideo (che per negare la contraddizione della verità dell’ Essere, condanna al Niente il molteplice dive-niente che appare e di cui pure facciamo esperienza), al nichilismo platonico-aristotelico (che per negare la contraddizione della verità salva il mondo, il molteplice diveniente di cui pure abbiamo esperienza, nell’ ordine di una perenne oscillazione tra l’ Essere e il Nulla) è il passaggio decisivo. Parmenide scioglie il legame necessario dell’ ente all’Essere e così facendo condanna al niente dell’ illusione l’ esperienza del mondo. Platone scioglie il legame dell’ ente al Niente (a cui lo aveva condannato Parmenide) ma non lega secondo necessità l’ ente all’ Essere, bensì secondo l’ ordine del Tempo. Con l’ Occidente si apre la vicenda del mortale in quanto coscienza ontologica della vita e della morte di tutte le cose. Nelle pagine del “Sofista” emerge la testimonianza di questa coscienza filosofica giunta alla soluzione di un paradossale rebus metafisico.
Ora, la coscienza filosofica della verità epistemica, che permane nella tradizione occidentale fino a due secoli fa e poi crolla lasciando in superficie al vitalismo e alla prassi scientifica la parola ma coltivando sottotraccia le mosse dello scacco matto alla tradizione, attraversa una prima fase in cui la negazione della contraddizione si fonda sulla verità dell’ Essere, cioè di quel valore eterno ed immutabile che la parlola “sacro” sintetizza bene. Mentre invece nella seconda fase di questa coscienza filosofica, da un paio di secoli appunto, la negazione della contraddizione è operata sul fondamento del divenire, come dimensione non smentibile dell’ esperienza, come fondamento di verità. AFFERMARE LA VERITA’ DEL DIVENIRE SIGNIFICA NEGARE LA CONTRADDIZIONE DEL SACRO E DEL DIVINO IN QUANTO ETERNI CHE ENTIFICANO IL NULLA DEL FUTURO.
La lettura severiniana di questo processo storico-fenomenologico della coscienza filosofica dell’ Occidente offre una visione orientata verso la progressiva coerentizzazione della Follia, cioè dell’ errore, dell’ alienazione della verità. La negazione della contraddizione si fa coerente poichè la logica del divenire si sbarazza di quell’ ente privilegiato che è l’ Iperuranio come luogo delle idee eterne, di Dio e di tutti i valori eretti a diga del fiume della vita, e afferma la verità del divenire trascendentale. La crisi in atto nel mondo è il riflesso mondano di questo sommovimento epocale, il passaggio inevitabile dall’ epoca della verità dell’ eterno all’ epoca dell’ attimo fuggente sottoposto alla previsione scientifica dell’ apparato tecnico totale. Abbiamo detto passaggio inevitabile sempre secondo il senso “debole” che la necessità acquista all’ interno della fede nel divenire, che del Nichilismo è l’ essenza e del mortale l’ alienazione essenziale. E senza considerare che la civiltà della Tecnica che avanza ancora non raggiunge il grado di coscienza avanzato (il sottosuolo del pensiero, secondo il linguaggio di Severino), che gli garantisca di diritto, e non soltanto di fatto, la vittoria nello scontro con le altre fedi politiche, economiche, religiose. Prendendo coscienza di ciò su cui si fondano le ragioni del suo dominio, il Superuomo moderno, l’ apparato tecnoscientifico cioè, libera tutte le sue risorse di potenza. Percio’ la Tecnica deve imparare a negare con verità la contraddizione di qualsiasi immutabile, di qualsiasi dio che pretenda l’ eternità nell’ orizzonte del divenire trascendentale, per accedere al grado filosofico della coscienza di se’ e della legittimità del suo primato al dominio, in quanto culmine della volontà di potenza.
Leggendo quanto su Parmenide (Anassimandro, Eraclito) in chiusura del cap XIV di Destino della Necessità (e altrove) mi chiedo se abbia senso chiamarlo “neoparmenideo” come fanno per lo piú gli avversari filosofici.
(So che il commento è fuori argomento. Volevo semplicemente condividere questa osservazione).
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