Il problematicismo di Ugo Spirito si muove nella stessa direzione dell’intera filosofia contemporanea: liberare il divenire della realtà da ciò che lo rende impossibile. Per cogliere il senso di questa affermazione, non si deve perdere di vista il rapporto privilegiato che Spirito instaura col suo maestro Gentile, riformatore della dialettica hegeliana. La dialettica è la teoria del divenire.
Le prime pagine della “Vita come ricerca” (Sansoni, Firenze, 1937) intendono mettere in luce l’ “antinomia ” dalla quale il pensiero è incapace di uscire.
Il primo lato dall’antinomia è la constatazione dell’esistenza del divenire. A ogni pensiero si contrappone l’obiezione. Questa contrapposizione è lo stesso “svolgimento storico”, cioè il passaggio dal passato al futuro. Dal passato, , “quando nessuna delle cose di oggi esisteva ed esistevano altre cose che oggi non sono”, al futuro, “quando le cose di oggi non esisteranno più e ne esisteranno altre”, sino a che tutte le cose “scompariranno nel nulla”. “Tutto diviene e l’infinito fluire tutto vanifica”. L’annientamento, la vanificazione delle cose è l’obiezione contro il pensiero in cui esse si mostrano; e l’obiezione è l’annientamento, la vanificazione del pensiero che presuma di porsi come conclusivo.
Il secondo lato dell’antinomia è la consapevolezza che se, nell'”eterno divenire” tutto è vano, d’altra parte non può essere vana la “ragione” del divenire: e pertanto tutto ciò che diviene, che pure si vanifica completamente, è insieme completamente salvato dal suo vanificarsi e si presenta “come assolutamente necessario”. La vita, insieme si vanifica e non è vanificabile. Se questa è, per Spirito, la “veste più immediata ed elementare dell’antinomia, d’altra parte questa è, nella sua sostanza, l’antinomia che si traduce nei più difficili problemi della dialettica contemporanea”. I problemi che Hegel, e poi Marx e soprattutto Gentile hanno dovuto affrontare. Difficili e drammatici, perché nell’attualismo, scrive Spirito, (Il problematicismo, Sansoni, Firenze, 1948, p. 45), “il punto culminante dell’antintellettualismo si converte nel punto culminante dell’intellettualismo”.
(Emanuele Severino, Oltre il linguaggio, Adelphi, Milano 1992, pp. 99 – 100).