Ciò che getta in catene la volontà liberatrice è il suo sentirsi impotente di fronte allo spettacolo del passato. Per l’intera tradizione metafisico-morale, la volontà non ha alcuna potenza sul passato ” E’ impossibile che ciò che è già fatto divenga qualcosa di non fatto ” (factum infectum fieri nequit). [ … ] Allora questo principio, affermando che è impossibile che una volontà faccia diventare un non mai accaduto ciò che è accaduto, afferma insieme che è impossibile che ciò che è già accaduto divenga comunque qualcosa rispetto a cui la volontà possa ancora prendere posizione e decidere. ” Così fu ” – e rispetto a ciò che fu non c’è più nulla da decidere e da fare. Ma che esista il ” così fu ” è appunto ciò che incatena la volontà liberatrice.
Essa è impotente contro il già fatto, e ” di per sé ” è ancora imprigionata, non perché la sua natura sia assegnata all’impotenza, ma perché essa, ancora, è persuasa di essere impotente – e si trova confermata in questa sua persuasione dal modo in cui si sente interpretata dal pensiero metafisico-morale.
Rispetto alla duplice impossibilità affermata dal secondo dei due modi di intendere il ‘ factum infectum fieri nequit ‘ qui sopra indicati, il pensiero di Nietzsche mostra che è necessario negare la seconda impossibilità – cioè l’impossibilità che ciò che è accaduto divenga qualcosa rispetto a cui la volontà possa ancora decidere e tenerlo ancora in suo potere -, ma che tale negazione non implica l’assurdo della trasformazione di ciò che è accaduto in qualcosa che non è mai accaduto.
Ciò ci porta verso il compimento della ” redenzione ” quando si infrangono le catene dell’impotenza che la volontà attribuisce a se stessa. Ma, intanto, il testo dello ‘ Zarathustra ‘ sta suggerendo che il cammino che porta ‘ verso ‘il compimento della redenzione è lo stesso cammino che porta ‘ verso ‘ il compimento della ” morte di Dio “. E ci si deve preparare a scorgere nella dottrina dell’eterno rìitorno il ‘ compimento ‘ di questo cammino. Il testo sta dunque suggerendo che l’inevitabilità della distruzione di Dio è la stessa inevitabilità della distruzione dello ” spettacolo del passato ” che sta piantato dinanzi alla volontà metafisico-morale. Si tratta di portare in piena luce questa dilatazione dell’inevitabile: di comprendere cioè che l’evidenza del divenire richiede inevitabilmente non solo la ” morte di Dio “, ma anche la morte dell’impotenza della volontà rispetto al passato. E’ sul fondamento di questa inevitabilità che ci si porta verso il compimento della redenzione della volontà. [ … ]
La negazione dell’immodificabilità del passato e dell’impotenza della volontà è inevitabile. E’ inevitabile che la fede nel ” così fu ” sia una ” filastrocca della demenza “. Quando Nietzsche scrive lo Zarathustra non ha ancora steso le annotazioni relative al ” processo dell’assimilazione “, che qui sopra abbiamo introdotto, ma esse sono già tutte all’opera nell’unificazione, compiuta nel testo dello Zarathustra, della fede in Dio e della fede nell’immodificabilità e irreversibilità del passato.
La ” redenzione “, dunque, a questo punto, è innanzitutto la negazione dell’impotenza della volontà di fronte al passato: la coscienza che il sentimento di impotenza è falso, è l’effetto di un grande ” schema ” dell’ “Essere immutabile”, e che quindi la volontà può liberarsi totalmente dall’eterno, volendo essere potente anche sul passato, volendo anche il passato.
Ma in che modo? La dottrina dell’eterno ritorno risponderà a questa domanda.
(E. Severino, L’anello del ritorno, Adelphi, Milano 1999, pp. 168 – 172)