L’assoluta innegabilità del destino della verità non è quantificabile: è impossibile un “di più” e un “di meno” di innegabilità. In quanto il “di più” e il “di meno” differiscono dall’assolutamente innegabile, sono entrambi negabili e il loro esser affermati è fede. All’assolutamente innegabile, pertanto, non “ci si avvicina”, né da esso “ci si allontana”. La scienza non può essere un indefinito “avvicinarsi alla verità”: per sapere che ci si avvicina o ci si allontana da essa sarebbe necessario che essa apparisse: ma allora non ci si troverebbe né vicini né lontani da essa: ci si troverebbe in essa. Tanto la “probabilità” più alta quanto la più bassa sono infinitamente lontane dall’assolutamente innegabile. Che il destino della verità appaia (già da sempre) innanzitutto come “struttura originaria significa che essa ‘non’ è un insieme di “assiomi” o di “postulati” più o meno “intuitivamente evidenti” […] In quanto la struttura originaria del destino è l’assolutamente incontrovertibile, i suoi elementi si implicano originariamente (secondo un’implicazione che costituisce i senso originario dell’innegabilità, cioè il senso originario dell’esser sé degli essenti e del loro non esser altro da sé: il senso originario della negazione della contraddizione – tutte affermazioni, queste, che, qui, possono essere solo asserite). E’ pertanto impossibile che dalla struttura originaria del destino sia derivabile una qualsiasi contraddizione, e quando sembra che ciò accada, ciò che è derivato è, appunto, l’apparenza di una contraddizione. (Emanuele Severino, ‘In margine al senso della contraddizione’, sta in ‘Scenari dell’impossibile – La contraddizione nel pensiero contemporaneo’, a cura di F: Altea e F. Berto, Il Poligrafo, Padova 2007, pp. 204-205).
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