Oltre a essere stata una delle maggiori danzatrici classiche italiane, Carla Fracci è stata anche una delle ultime muse di Eugenio Montale, di Oltre a essere stata una delle maggiori danzatrici classiche italiane, Carla Fracci è stata anche una delle ultime muse di Eugenio Montale, di Ylenia Gambaccini

Ylenia Gambaccini

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Oltre a essere stata una delle maggiori danzatrici classiche italiane, Carla Fracci è stata anche una delle ultime muse di Eugenio Montale.

Montale – non soltanto poeta, ma anche critico e, soprattutto, amante della musica e della danza – vide per la prima volta la Fracci il 5 marzo 1955 durante il suo “Passo d’Addio” alla Scuola di Ballo: lei non era neanche ventenne e lui ne rimase ammaliato. Montale era a Milano già da una quindicina d’anni: nel 1940 era divenuto collaboratore del “Corriere della Sera” e due anni dopo era stato nominato redattore della pagina letteraria, incarico al quale si era aggiunto, dal 1954 al 1967, quello di critico musicale per il “Corriere d’Informazione”; molte delle sue recensioni di balletto confluirono in “Prime alla Scala”. Lei entrò poi nella Compagnia scaligera come ballerina di fila, e successivamente divenne una protagonista della scena internazionale (legata, tra i tanti, all’American Ballet Theatre di New York). Tuttavia, egli non smise mai di ammirarla (si sa, d’altronde, che Montale era un marpione).

Nacque così una profonda ed affettuosa amicizia tra Carla ed Eugenio, che culminò in un soggiorno estivo a Forte dei Marmi (si sa, d’altronde, che Montale faceva la bella vita), che la Fracci rammenta come «il viaggio con il Maestro: il viaggio più bello della mia vita». Trovandosi al ‘Forte’ come ospite di Annamaria Papi insieme al marito, il regista Beppe Menegatti, Carla Fracci organizzò con un gruppo di amici, tra cui Montale stesso, una gita lenta, «alla ricerca della memoria», di cui l’ultima tappa sarebbe stata Siena, per assistere al Palio d’estate il 16 agosto.

La Fracci reputò Montale «grandioso nel quotidiano», «taciturno in mezzo ai larghi raggruppamenti e invece loquacissimo in compagnia di poche persone», e ci ha regalato molti aneddoti preziosi sulla sua figura, non celando mai di aver conservato l’intramontabile onore di averlo avuto nella sua vita. «L’occasione di conoscere i veri maestri e di incontrarli nel momento giusto, cioè quando si comincia a capire qualcosa della vita, sembra oggi un’autentica rarità. (…) Ecco a me è toccata un’esperienza simile: ho frequentato e non solo in vacanza, un uomo come Montale», disse di lui.

Nondimeno, l’affetto era reciproco ed è proprio in nome del suddetto che Montale le dedicò una poesia: “La danzatrice stanca”, composta il 29 ottobre 1972 ed inclusa nel “Diario del ’71 e del ’72”.

Nel 1969, Carla Fracci aveva partorito il suo unico figlio, Francesco. Montale aveva frequentato la Fracci nei mesi della sua gestazione ed era persino stato presente al battesimo del bambino, avvenuto il 1º gennaio 1970 a La Verna. Ad ogni modo, era decisamente raro, perlomeno a quei tempi, che una ballerina osasse avere dei figli, onde evitare di sciupare la propria bellezza. Non fu, però, il caso della Fracci che, inaspettatamente, sarebbe tornata a danzare molto in fretta («Poi potrai / rimettere le ali»). Il suo ritorno sulle scene è di fatti registrato sin dai primi mesi del 1970 e, ad esempio, una settimana prima della stesura di questo testo aveva partecipato a uno spettacolo di beneficenza al Teatro Olimpico di Vicenza. Per quanto concerne la lirica, la stanchezza evocata nel titolo è dovuta alla maternità: la ballerina viene descritta dal poeta come una figura leggerissima, quasi eterea, che torna a ballare dopo essere diventata mamma. Inizialmente, è presentata quasi come un’ammalata in via di guarigione e si parla della rifioritura di una convalescente; ciò nonostante, ella tornerà presto in forma («a te bastano i piedi sulla bilancia / per misurare i pochi milligrammi / che i già defunti turni stagionali / non seppero sottrarti») e riprenderà a volare. Anche se non sarà più una creatura divina («non più nubecola / celeste») bensì terrestre poiché madre, sarà pur sempre speciale perché tutti si accorgeranno del suo ritorno, dal momento che, senza di lei, i balletti paiono delle sfilate di morti («nivei défilés di morte»).

In una recensione musicale del 1961 al balletto “Le donne di buon umore” di Scarlatti (tratto da “Le morbinose” di Goldoni), Montale aveva scritto, nello spazio di poche righe: «[…] si è assistito così a un défilé di danzatori che alternavano le forme della danza accademica agli espedienti della pantomima realistica […]. Il pubblico ha accolto con molti applausi il balletto ammirando l’arte di Carla Fracci».

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