Per tutta la vita ho sentito fortemente il bisogno di dare un senso all’esistenza. Iniziai a pormi il problema sin da ragazzo. Continuai ad affrontarlo per tutta l’adolescenza e la giovinezza. Durante gli anni universitari trascorsi a Roma, potei discutere del problema con alcuni professori della facoltà di filosofia di quell’Università cui mi ero iscritto nel 1956.
Tra questi ricordo con grande affetto Ugo Spirito che mi stimò molto per le capacità che mi attribuiva di fare dell’autentica filosofia.
Dopo aver avuto, a cominciare dal 1934, cattedre di insegnamento nelle università di Pisa, Messina e Genova, Spirito approdò all’Università La Sapienza di Roma nel 1951 in qualità di ordinario di filosofia teoretica.
Io lo conobbi nel 1957 al termine di una di quelle famose “discussioni del giovedì” che, a cominciare proprio dal 1951, egli affiancò alle sue lezioni anno dopo anno. Vi partecipai a lungo con grande entusiasmo e interesse.
Ai suoi “giovedì” che si svolgevano nell’aula grande dell’Istituto di Filosofia intervenivano studenti, assistenti e anche persone di varie età, convinzione e provenienza. Egli pazientemente ascoltava tutti, rilanciava la discussione dopo ogni intervento e la guidava verso nuove prospettive conoscitive.
Quasi subito sorse tra noi una affettuosa amicizia e incominciammo a frequentarci anche al di fuori dell’università. Le nostre frequentazioni continuarono anche dopo il conseguimento della laurea e durante la mia attività di docente di lettere nelle scuole medie. Ci vedevamo anche in estate, quando lui veniva in villeggiatura nei pressi di Rieti ove aveva una casa. Le nostre frequentazioni si interruppero due anni prima della sua scomparsa avvenuta in Roma nel 1979.
Al centro delle nostre discussioni c’era sempre, tra gli altri, il problema se sia possibile per l’uomo scorgere la Verità incontrovertibile. Ero io a porgli il problema perché credevo in quella possibilità.
Spirito in quegli anni era appena passato dal problematicismo all’onnicentrismo. Era dunque su posizioni che negavano quella possibilità e tuttavia era sempre disponibile ad accogliere come argomento di discussione quello posto dal suo interlocutore, anche se esso contrastava, come nel nostro caso, con quelle che allora erano le sue convinzioni.
Il tratto distintivo del suo pensiero consisteva infatti nella curiosità e nel rispetto per qualsiasi posizione. Non esisteva per lui una parola definitiva ed era fortemente convinto che la ricerca della verità dovesse essere praticata con continuità senza tentennamenti o rinunce.
Per questo tratto distintivo del suo carattere Spirito esercitò una grande influenza su di me. Fu lui a pormi nella condizione di non mollare mai nella ricerca della verità. Fu lui a insegnarmi che ogni ricerca filosofica va condotta “con l’occhio rivolto unicamente alla verità cui si anela, senza subordinarla a nessun presunto valore, a nessuna autorità, a nessuna pressione del senso comune e della forza della tradizione”.
Dopo la sua scomparsa, la mia ricerca della verità è diventata ancora più serrata e convinta, nonostante l’insoddisfazione e lo sconforto che s’insinuano nell’animo quando si falliscono gli obiettivi che ci si proponeva di raggiungere.
(Vasco Ursini, Il dilemma verità dell’essere o nichilismo?, Book Sprint Edizioni, 2013, pp. 7 – 
