Professor Emanuele Severino, Papa Francesco aprendo la Porta dell’Anno Santo della Misericordia, nel cuore dell’Africa, ha testualmente detto: “Lo faccio oggi, qui, in questa capitale spirituale del mondo”. E’ un’innovazione geopolitica del Papa, oppure il Papa ha volutamente spostato l’asse della geo-spiritualità del pontificato da Roma alle periferie del mondo?
“È un papato che ormai anche con questo gesto, nel cuore dell’Africa, certifica che l’Occidente non è più il fulcro della cristianità mondiale. È, invece, quella porzione del pianeta che continua a celebrare la morte di Dio e che si è trasformata in una grande pianura della fede, sia chiaro non quella religiosa, ma quella nella civiltà della tecnica”.
Perché, secondo lei, il Papa inaugura questa geo-spiritualità delle periferie?
“Il Papa capisce quel che i suoi predecessori o non hanno capito o hanno tenuto ai margini del loro magistero”.
Che cosa non hanno capito o hanno fatto finta di non capire i predecessori di Papa Francesco?
“Non hanno capito che il processo di abbandono della tradizione occidentale non rappresentava una moda transitoria ma era un effetto della crisi del pensiero filosofico come essenza della nostra epoca. C’è stata la distruzione delle posizioni filosofiche che hanno formato la tradizione europea”.
E quale idea è prevalsa?
“L’idea dell’intima debolezza di trovare riparo in una verità assoluta”.
È una crisi che coinvolge, inevitabilmente, anche il mondo cattolico?
“Il mondo cattolico non ha fatto i conti con il vero nemico dell’Occidente, che è il relativismo, non quello che ha voluto descrivere Eugenio Scalfari dopo il suo colloquio con Papa Francesco, cioè il relativismo come scostamento concettuale da ogni verità”.
Per lei invece come si configura il relativismo?
“Non è il relativismo ingenuo che nasce da uno scetticismo ingenuo, Il vero relativismo è nemico della tradizione perché tende a restare nascosto e si muove, come un fiume carsico, nel sottosuolo del nostro tempo. Il relativismo è sapere che esso non si limita a certificare la morte di Dio ma è capace di dimostrare l’ineluttabilità di questa morte. E questo pericolo non è solo la Chiesa cattolica a non vederlo. Perché nel sottosuolo filosofico c’è il conferimento alla tecnica del diritto di considerare tutto sotto il suo dominio”.
Allora Papa Francesco comprende questa civiltà occidentale che abbandona Dio e sposta altrove il fulcro della missione della cattolicità?
“Certo, lo ha percepito più dei suoi predecessori. D’altronde Cristianesimo e Islam, in questo momento storico, sono sulla stessa barricata di resistenza al tempo e alla storia. Rispetto all’esistenza di Dio, Cristianesimo e Islam stanno dalla stessa parte. Si comportano o con una resistenza adeguata, come può avvenire con la predicazione pacifica anche nei paesi dell’Islam, oppure con una resistenza inadeguata, come quella espressa dal fondamentalismo islamico. C’è al fondo della resistenza la volontà di tenere fermo quel Dio che l’Occidente sta abbandonando”.
E la resistenza di Papa Francesco come si sta mostrando?
“Anche con gesti estemporanei ma dimostrativi di un processo in atto secondo il quale il futuro del Cristianesimo non è più nei popoli occidentali, ma in America Latina, in Africa. La stessa Italia mostra un crescente distacco dalla fede cattolica, dove i cattolici forti sono come mosche bianche”.
Qual è la differenza di Papa Francesco con il suo predecessore Benedetto XVI?
“La dottrina non si è spostata di una virgola. È difficile rintracciare nei suoi predecessori una tale intensità di pensiero e di dottrina sul capitalismo che è una forma di produzione che deve rendere più efficace il profitto”.
Qual è l’intensità di pensiero di Papa Francesco sul capitalismo?
“È quando afferma che il dovere del capitalismo, e sottolinea la parola dovere, è il bene comune. Cioè il bene comune cristiano. Ma è come se dicesse, al tempo stesso, che il capitalismo deve morire, perché l’azione non è più tale senza lo scopo che la definisce. Cioè l’obiettivo del capitalismo è il profitto privato. Può sembrare esagerato ma sono le stesse parole del comunismo, sia pure espresse con tonalità diverse. E’ come se il papa dicesse: dobbiamo annientare il capitalismo”.
Quindi una novità contraddittoria?
“Certamente, come avviene anche sul terreno del rapporto tra democrazia e Chiesa”.
Un tema che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno più volte enunciato.
“La democrazia, secondo la Chiesa, non può esserci con la libertà senza la verità. Il principio della tutela della verità cristiana per la democrazia uccide la democrazia stessa. E su questo tema c’è un conflitto della Chiesa con il mondo occidentale. È un ulteriore motivo che induce la Chiesa a spostare il baricentro dall’occidente all’America Latina e all’Africa”.
Professor Severino, l’Occidente è stanco, sconfitto o in ginocchio?
“È stanco dei valori tradizionali della sua civiltà. È sconfitto quando tenta di tenersi in vita. Non è in ginocchio”.
Perché non è in ginocchio, nonostante la stanchezza che mostra e la sconfitta che registra?
“Non è in ginocchio perché trova potenza nelle forze del sottosuolo, come le ho definite nei miei scritti, che operano contro la distruzione del pensiero filosofico. Le faccio un esempio”.
Prego.
“Rispetto all’Isis, l’Occidente ha la capacità di eleminarlo in un attimo. È una forza tecnica, non una debolezza. Basterebbe una bomba atomica. Ma l’Occidente, con la forza della tecnica e la debolezza del suo pensiero evade dai suoi valori, può annientare i suoi nemici ma mai vincere la guerra. Perché la tecnica esula dalle forze reali che governano la polis e la politica, cioè i valori”.
Ma la Chiesa può essere l’ultima frontiera di resistenza al principio del progresso come adattamento, senza valori, alla tecnica?
“È tutta la tradizione umanistica dell’Occidente che potrebbe rappresentare la resistenza. Però, c’è la grandezza della tradizione filosofica dell’Occidente che viene emarginata. Ma una tecnica invasiva senza una regione che la sostenga, dove porta l’uomo? Né la scienza, né la religione, né altro possono sostenere la tecnica. È un compito che non spetta alle fedi, un concetto ben al di là delle credenze. È sempre stato compito della filosofia rispondere alle domande poste dalla ragione. Il limite dell’Occidente è stato quello di pensare che la filosofia fosse una bazzecola della storia dalla quale potersi liberare. La filosofia del nostro tempo ha mostrato l’impossibilità di ogni verità assoluta, di ogni Dio che pretenda di sottrarsi al divenire del mondo”.
In fondo, non le sembra che anche questo Papa tenti di cambiare il mondo?
“Certo, tenta di cambiare le cose, anche i costumi degli uomini. Ma non vorrei che perdesse di vista che il mondo evade dal passato dell’Occidente”.
Professore, il discorso di Cristo lo sfiora ancora?
“Quando morì il mio carissimo amico Piero Barcellona, filosofo marxista del novecento poi convertito al Cristianesimo, sottolineai le sue parole: “Solo il discorso di cristo si può opporre al nichilismo biologico dello scientismo che cerca di cancellare ogni specificità della condizione umana””.
La condizione umana che per il cristianesimo è cosa caduca.
“Sì, ma è come se uno dicesse che la fede di fondo di tutta la cultura occidentale è l’esser convinti che l’uomo e le cose del mondo sono polvere, cenere. La Chiesa condivide questa concezione di un esser uomo caduco, è una follia”.
Come si immagina il futuro?
“Andiamo verso una fede collettiva che è la più forte, quella della tecnica. Surclasserà tutte le altre fedi, fino a far apparire come lotte di retroguardia i conflitti che oggi occupano la scena del mondo”.I