Sull’interpretare , Emanuele Severino,Testimoniando il destino, Milano, Adelphi 2019, pp. 41-42

Che l’interpretare esista è incontrovertibile perché esso è un contenuto che appare nella struttura originaria, ma l’interpretare non è un sapere incontrovertibile (che cioè si fonda sulla struttura originaria): esso è la terra isolata dalla struttura originaria e da ciò che su di essa si fonda. L’interpretare è l’isolamento della terra e tale isolamento è l’interpretare originario, la radice di ogni interpretare. L’interpretare indica pertanto ciò da cui esso si isola. È l’interpretazione di ciò da cui esso si isola. La non verità è l’interpretazione della verità. Isolata dalla verità, la non verità, riflettendo sul proprio essere interpretazione, è costretta ad affermare che ogni interpretato è a sua volta un interpretante e che quindi l’interpretare è un rinvio all’infinito. Che l’interpretare sia un rinvio all’infinito è dunque affermazione che dipende dalla negazione della verità, ossia dalla tesi che ogni interpretato è un interpretante, la quale è implicata dall’isolamento della terra dal destino della verità. È cioè per una negazione della struttura originaria – o, che è lo stesso, è per una supposizione non richiesta necessariamente da tale struttura – che si deve concepire ogni interpretato come interpretante, con la conseguenza che l’interpretare si presenta come impossibile e cioè viene negata l’esistenza di ciò che appare incontrovertibilmente nella struttura originaria.

( Emanuele Severino,Testimoniando il destino, Milano, Adelphi 2019, pp. 41-42).

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