La filosofia del linguaggio, detta anche filosofia analitica, è un indirizzo che sorge all’inizio del Novecento nell’università inglese di Cambridge. Riprende con criteri più moderni e attuali la grande tradizione dell’empirismo inglese, caratterizzata dal favore accordato al senso comune anziché ai ragionamenti astratti, dall’approccio empirico alla realtà, nonché dall’interesse per gli aspetti logico-linguistici dei problemi filosofici, volto a tradurne le proposizioni in forma logica o respingerle se non compatibili. In contrapposizione agli orientamenti di stampo metafisico diffusi nel continente europeo, portati ad accentuare la speculazione di ordine sovrasensibile, la filosofia analitica, ispirata ad atteggiamenti di realismo, pone invece in rilievo il carattere oggettivo posseduto dai dati elementari dell’esperienza, vale a dire dalle sensazioni in atto prima della loro rielaborazione intellettuale e concettuale, tant’è che si è adottata la distinzione, divenuta celebre, fra “analitici” (i filosofi anglosassoni) e “continentali” (i filosofi del continente europeo).Peraltro, mentre il positivismo ottocentesco credeva con assoluta fiducia nel valore autonomo e oggettivo dei “fatti”, ritenendo bastevole il solo raccoglierli, osservarli e classificarli con metodo per giungere ad una conoscenza certa, il realismo empirico della filosofia del linguaggio, più evoluto, si rende conto che “i fatti”, i dati e gli oggetti dell’esperienza, non sono colti direttamente in se stessi ma solo indirettamente dalle nostre percezioni, da esse filtrati e selezionati. Stante che molti sono i modi possibili di organizzare e valutare i dati sensibili, differentemente da soggetto a soggetto, vige la consapevolezza che fin dall’iniziale atto percettivo i fatti sono sottoposti ad interpretazione, venendo quindi a perdere quel carattere di oggettività assoluta come ritenuto dal positivismo e dall’empirismo ingenui. Con l’avvento delle geometrie non euclidee, con la teoria della relatività e col principio di indeterminazione, anche le stesse conoscenze matematiche e fisiche classiche entrano in crisi e non appaiono più certezze assolute: aumenta la sensazione di distacco tra esperienza comune e scienza, giungendo finanche a dubitare che vi sia corrispondenza tra conoscenza scientifica e realtà. Pur consapevoli che i fatti di esperienza non sono immuni da classificazioni soggettive, la filosofia analitica e il realismo contemporanei ritengono nondimeno che un attento esame dei modi del conoscere e del linguaggio scientifico sia in grado di mostrare l’esistenza di concetti e di principi logici dotati di valore autonomo e indipendente. Intendimento perseguito è di dimostrare la certezza della scienza attraverso l’analisi del suo linguaggio, per evidenziare da un lato la validità delle conoscenze acquisite mediante l’uso della matematica e della logica e per rilevare, dall’altro lato, le contraddizioni e l’insensatezza della filosofia tradizionale, derivanti dalle ambiguità, dalle incoerenze e dagli errori logici presenti nel linguaggio da essa impiegato. L’analisi del linguaggio, da esercitare quindi, oltre che nella scienza, anche nella pratica filosofica, è il nuovo compito alla filosofia attribuito per chiarirne la coerenza delle proposizioni.Elementi generali della filosofia del linguaggio sono dunque:1. l’analisi logica del linguaggio scientifico come pure filosofico e la chiarificazione minuziosa degli enunciati formulati nelle questioni prese in esame;2. la tendenza ad impostare i problemi filosofici in modo il più possibile concreto e comunque antimetafisico;3. la propensione per indagini circoscritte ed il rifiuto di trattazioni sistematiche globali;4. l’uso di tecniche logiche rigorose nell’esposizione e nell’argomentazione dei temi e delle problematiche;5. l’attenzione ai costrutti e agli usi del linguaggio, logico-formale e scientifico ma anche ordinario.La filosofia analitica del linguaggio in parte anticipa e in parte diviene importante componente del neopositivismo sviluppatosi nel “Circolo di Vienna”. Il suo avvento è stato definito dai commentatori in termini di “svolta linguistica” della filosofia, contraddistinta dalla convinzione di fondo che i problemi filosofici possono essere risolti attraverso l’attenta disamina della correttezza, precisione e sensatezza linguistica. Per risultanza, alla svolta linguistica si accompagna il privilegio maggiormente riconosciuto ad un’impronta etico-pratica in campo filosofico. Principali esponenti dell’indirizzo in parola sono Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein. Sono da annoverare anche Eduard Moore e Alfred Whitehead.Due sono i tipi di analisi perseguita:1. L’analisi del linguaggio scientifico, e in tal caso la filosofia è ridotta o comunque assimilata alla logica, cui è attribuito anche il compito di determinare le condizioni generali che rendono possibile un linguaggio qualsiasi. In questo filone si inserisce Bertrand Russell, lo stesso neopositivismo e il cosiddetto “primo Wittgenstein”. Uno dei principali obiettivi mirati è, analogamente al neopositivismo, l’unificazione metodologica delle scienze mediante la creazione di un comune linguaggio logico-scientifico e di un comune metodo scientifico. La stessa matematica è ridotta e trasformata in logica, in formule logiche.2. L’analisi del linguaggio ordinario, e in tal caso compito della filosofia è l’interpretazione delle forme espressive sue proprie, nonché la ricerca di un loro significato inequivoco previa l’eliminazione delle ambiguità frequentemente presenti. In questo secondo filone si inserisce Moore e il cosiddetto “secondo Wittgenstein”.
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