Severino nei suoi scritti usa spessissimo l’espressione “destino della verità” e anche quella “verità del destino”. Sono espressioni che devono essere spiegate ad evitare equivoci interpretativi.
Severino non intende la parola “de-stino” nel suo significato usuale di corso delle cose considerato come predeterminato e indipendente dalla volontà dell’uomo, ma in quello etimologico di stare innegabile dell’essere.
Dunque il de-, per Severino, non ha un valore negativo ma affermativo e potenziante, e stino significa stare.
Quindi “destino” indica uno “stare che non cede”, uno “stare” che resiste ad ogni tentativo di abbatterlo e che quindi si pone come “destino della necessità”.
Questo “stare necessario del destino” indica dunque lo stare innegabile ed eterno dell’essere, cioè l’impossibilità che l’essere non sia. Il fondamento di tale impossibilità sta nell’immediata autonegatività della sua negazione, la quale, nell’implicare la verità di ciò che esplicitamente tenta di negare, nega se stessa proprio nell’atto in cui tenta di imporsi. Dunque, se la negazione dell’essere non riesce a porsi come negazione, ne discende che l’essere è eterno.
Ascoltiamo Severino:
“Il de-stino – che è destino della totalità dell’essente, cioè della totalità dei significati – è l’apparire della compagine che sta e non si lascia smentire da alcun sapere umano o divino: e che include originariamente il proprio apparire.E’ il destino già da sempre manifesto della verità – ossia della verità in quanto appare non nelle forme che il mortale e l’Occidente le hanno attribuito, ma nella forma che le si addice secondo il senso autentico della necessità, e alla quale forma è quindi già da sempre e per sempre destinata”
(Emanuele Severino, La Gloria, Adelphi, Milano 2oo1, p. 22)
tratto da:
L’ha ribloggato su ANTOLOGIA del TEMPO che resta.
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