Come abbiamo visto, Severino ritiene che il nichilismo si basi sulla persuasione inconscia che le cose siano nulla.
In AAHOEIA egli non si pone il problema se il pensiero che supera il nichilismo, affermando l’eternità di tutte le cose, possa sussistere esplicitamente, in una forma consapevole di sé, o se implichi anch’esso un inconscio, o addirittura se sia di per sé inconscio. Il suo discorso è orientato esclusivamente a evidenziare come la persuasione nichilista che le cose siano nel tempo implichi un inconscio.
In “Destino della Necessità”, invece, se da una parte il concetto di inconscio appare negli stessi termini in cui due anni dopo ritorna in AAHOEIA, dall’altra si presenta in un’accezione e una valenza completamente diverse.
Come abbiamo visto, secondo Severino, l’uomo occidentale non si rende conto di come al di sotto della persuasione che le cose siano temporali soggiace la persuasione che le cose siano nulla. Ma, naturalmente, secondo Severino, l’uomo occidentale non si rende conto neanche dell’eternità di tutte le cose. L’eternità di tutte le cose è ciò che primariamente ed essenzialmente gli sfugge. Anche questo, dunque, è il suo inconscio. E Severino, appunto, lo rileva: “Nell’autocoscienza dell’Occidente e del mortale non appare ciò che l’Occidente e il mortale sono nello sguardo del destino della verità. Ciò che essi in verità sono è il loro inconscio. Il loro inconscio si mostra nello sguardo del destino. L’inconscio, qui, è ciò che non appare all’interno dell’apparire in cui l’Occidente, come interpretazione dominante, consiste” (Destino della necessità, p. 432). Nell’autocoscienza dell’Occidente non appare la verità, che sappiamo essere l’eternità di tutte le cose, dunque ciò che anche l’Occidente è. Ciò vale anche per il mortale, cioè per chi considera le cose, e dunque anche se stesso, temporali: “anche l’esser mortale è eterno” (ivi, p, 422). Questo essere eterni anche dell’Occidente e del mortale stessi, dunque questa verità che l’Occidente e il mortale stessi sono, al di là della loro tendenza a negarla, è “il loro inconscio”.
In questo caso, dunque, l’inconscio non è qualcosa che partecipa alla negazione della verità. Al contrario è qualcosa che racchiude la verità in sé, che la custodisce. Più ancora: è esso stesso la verità negata dall’Occidente, inteso come “interpretazione dominante”, poiché è esso stesso l’affermazione dell’eternità di tutte le cose.
In un capitolo successivo, Severino afferma: “L’inconscio più profondo e più nascosto è la chiarità estrema dell’illuminarsi del tutto” (ivi, p. 392). Abbiamo già visto come Severino rilevi che la parte risplende in virtù del suoi legame con il tutto, in quanto avvolta dal tutto. In questo caso è il tutto stesso a risplendere.
Ciò non esclude il risplendere della parte, ma ne costituisce l’espressione più compiuta. Non soltanto, infatti, la parte risplende in quanto “attraversata” e “avvolta dal tutto” (Essenza del nichilismo, p. 23) ma in quanto la “parte ‘è’ il Tutto, nel senso che il Tutto è l’esser veramente sé della parte” (ivi, p. 390).
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Secondo Severino, dunque, per un verso l’inconscio è proprio della ragione alienata del nichilismo e interpreta le cose come nulla, per un altro verso racchiude il superamento di tale alienazione e interpreta le cose completamente libere dal nulla, dunque come assoluto essere: da una parte è oscuramento, dall’altra è “chiarità estrema”.
Del resto, il concetto di inconscio corrisponde all’idea di un accecamento, e l’accecamento può derivare dall’assenza di luce. Severino riconduce appunto l’inconscio a queste due possibili matrici.
Nella sua opera, cioè, il concetto di inconscio si presenta in due accezioni opposte, con due determinazioni opposte. Un passo del libro del 1983 ‘La strada’ fa esplicito riferimento a tale duplicità: “se il nichilismo è l’inconscio dell’Occidente, non si dovrà dire forse che il paese che sta oltre i confini dell’Occidente e dal quale proviene il linguaggio che indica l’inconscio dell’Occidente, è “l’inconscio dell’inconscio dell’Occidente?”
( Lo scritto è tratto da: Gabriele Pulli, Freud e Severino, Moretti e Vitali Editori, Bergamo 2000, pp. 63-66).