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Post di Ermanno Piacenti
LA MORTE E’ UN FINE- NON LA FINE!
“La visione della vecchiaia sarebbe insopportabile se non sapessimo che la nostra anima giunge in un luogo immune dall’alterazione del tempo e dalla limitazione dello spazio. In quel modo d’essere la nostra nascita è una morte e la nostra morte una nascita. I piatti della bilancia della totalità sono in equilibrio.”La morte non è la fine di tutto, ma soltanto il traguardo dell’esistenza terrena a cui non si può sfuggire e dovrebbe essere vissuto senza alcun timore proprio per poter vivere pienamente il tempo concessoci. Nella fase finale della vita si aspira alla realizzazione totale e ciò sollecita un salto di consapevolezza; presa di coscienza e conoscenza di sé, sono l’essenza e il nocciolo di questo processo. Quando il corpo fisico cessa di funzionare, è possibile che l’identità individuale sì ricongiunga alla psiche sovraindividuale, a quella totalità da cui siamo emersi e in cui eravamo immersi prima di farci pionieri di un’esperimento d’auto coscienza. La psicologia analitica parla di una totalità psichica illuminata dalla coscienza (Sè), quale metà finale del processo di individuazione. Entro questa totalità, l’Io, strumento del conscio e organo della coscienza, è destinato a dissolversi e questo è il nucleo vero dell’angoscia di morte. L’Io non è una categoria psicologica permanente; sgorga dal Sè ed è destinato ad essere riassorbito nel Sè; la sua è una morte annunciata.”Mi auguri ‘buon viaggio’, devo abbandonare tutto e intraprendere un viaggio importante”
Citazioni da :Jung, Anima e morte.
Post condiviso grazie a Maria Grazia Monaco del gruppo Il Libro Rosso Jung riflessioni!
Quando Freud intende l’espressione di un suo paziente, «non è mia madre», come «è la madre» non compie un atto arbitrario, e neanche un atto inconfutabile nel senso debole e negativo della parola, nel senso di un’affermazione che presuppone l’inconfutabilità invece che fondarla. Il paziente si riferiva alla figura di un sogno e non aveva detto per esempio “non è mia madre, perché è mia sorella” o qualsiasi altra persona. Si trattava cioè di una figura di non facile decifrazione, come spesso avviene nei sogni, e non di una figura più determinata, come pure avviene nei sogni, sicché talvolta si dice a qualcuno: “stanotte ti ho sognato”. In quel caso, allora, il problema non era che cosa fosse la figura del sogno, ma a cosa facesse pensare. L’espressione «non è mia madre», in assenza dell’aggiunta “è mia sorella” o un’altra qualsiasi persona, va intesa come “non mi fa pensare a mia madre”. Ma non si può dire di non pensare alla propria madre, o a qualsiasi altra persona o cosa, senza pensarci: l’atto del dire di non pensarci implica necessariamente il pensarci. Ciò vuol dire che la negazione freudiana è una negazione che afferma nello stesso modo in cui nell’opera di Severino la negazione dell’esser sé e non poter diventare altro da sé di tutto ciò che è una negazione che afferma […]. Se la verità che Severino indica è una verità incontrovertibile in quanto è affermata anche dalla propria negazione, ciò risulta valere anche per la negazione freudiana…» (Dalla Conclusione)
Severino ritiene che il nichilismo si basi sulla persuasione inconscia che le cose siano nulla.In AAHOEIA egli non si pone il problema se il pensiero che supera il nichilismo, affermando l’eternità di tutte le cose, possa sussistere esplicitamente, in una forma consapevole di sé, o se implichi anch’esso un inconscio, o addirittura se sia di per sé inconscio. Il suo discorso è orientato esclusivamente a evidenziare come la persuasione nichilista che le cose siano nel tempo implichi un inconscio.In “Destino della Necessità”, invece, se da una parte il concetto di inconscio appare negli stessi termini in cui due anni dopo ritorna in AAHOEIA, dall’altra si presenta in un’accezione e una valenza completamente diverse.Come abbiamo visto, secondo Severino, l’uomo occidentale non si rende conto di come al di sotto della persuasione che le cose siano temporali soggiace la persuasione che le cose siano nulla. Ma, naturalmente, secondo Severino, l’uomo occidentale non si rende conto neanche dell’eternità di tutte le cose. L’eternità di tutte le cose è ciò che primariamente ed essenzialmente gli sfugge. Anche questo, dunque, è il suo inconscio. E Severino, appunto, lo rileva: “Nell’autocoscienza dell’Occidente e del mortale non appare ciò che l’Occidente e il mortale sono nello sguardo del destino della verità. Ciò che essi in verità sono è il loro inconscio. Il loro inconscio si mostra nello sguardo del destino. L’inconscio, qui, è ciò che non appare all’interno dell’apparire in cui l’Occidente, come interpretazione dominante, consiste” (Destino della necessità, p. 432). Nell’autocoscienza dell’Occidente non appare la verità, che sappiamo essere l’eternità di tutte le cose, dunque ciò che anche l’Occidente è. Ciò vale anche per il mortale, cioè per chi considera le cose, e dunque anche se stesso, temporali: “anche l’esser mortale è eterno” (ivi, p, 422). Questo essere eterni anche dell’Occidente e del mortale stessi, dunque questa verità che l’Occidente e il mortale stessi sono, al di là della loro tendenza a negarla, è “il loro inconscio”.In questo caso, dunque, l’inconscio non è qualcosa che partecipa alla negazione della verità. Al contrario è qualcosa che racchiude la verità in sé, che la custodisce. Più ancora: è esso stesso la verità negata dall’Occidente, inteso come “interpretazione dominante”, poiché è esso stesso l’affermazione dell’eternità di tutte le cose.In un capitolo successivo, Severino afferma: “L’inconscio più profondo e più nascosto è la chiarità estrema dell’illuminarsi del tutto” (ivi, p. 392). Abbiamo già visto come Severino rilevi che la parte risplende in virtù del suoi legame con il tutto, in quanto avvolta dal tutto. In questo caso è il tutto stesso a risplendere.Ciò non esclude il risplendere della parte, ma ne costituisce l’espressione più compiuta. Non soltanto, infatti, la parte risplende in quanto “attraversata” e “avvolta dal tutto” (Essenza del nichilismo, p. 23) ma in quanto la “parte ‘è’ il Tutto, nel senso che il Tutto è l’esser veramente sé della parte” (ivi, p. 390).[ … ]Secondo Severino, dunque, per un verso l’inconscio è proprio della ragione alienata del nichilismo e interpreta le cose come nulla, per un altro verso racchiude il superamento di tale alienazione e interpreta le cose completamente libere dal nulla, dunque come assoluto essere: da una parte è oscuramento, dall’altra è “chiarità estrema”.Del resto, il concetto di inconscio corrisponde all’idea di un accecamento, e l’accecamento può derivare dall’assenza di luce. Severino riconduce appunto l’inconscio a queste due possibili matrici.Nella sua opera, cioè, il concetto di inconscio si presenta in due accezioni opposte, con due determinazioni opposte. Un passo del libro del 1983 ‘La strada’ fa esplicito riferimento a tale duplicità: “se il nichilismo è l’inconscio dell’Occidente, non si dovrà dire forse che il paese che sta oltre i confini dell’Occidente e dal quale proviene il linguaggio che indica l’inconscio dell’Occidente, è “l’inconscio dell’inconscio dell’Occidente?” ( Lo scritto è tratto da: Gabriele Pulli, Freud e Severino, Moretti e Vitali Editori, Bergamo 2000, pp. 63-66).
Filosofi e analisti lavorano, da laboratori diversi, lo stesso materiale: l’uomo. E proprio dell’uomo si racconta in queste pagine. Della sua sofferenza, del suo dolore, della sua nostalgia, della sua speranza, della sua possibilità. Davide D’Alessandro interroga le menti più brillanti del nostro panorama culturale contemporaneo per addentrarsi nel vivo del rapporto tra filosofia e psicoanalisi.
IN DIALOGO CON Laura Ambrosiano – Alessandro Barbano Eugenio Borgna – Antonino Buono Massimo Cacciari – Eva Cantarella Adriana Cavarero – Michele Ciliberto Giuseppe Civitarese – Domenico Cosenza Massimo Donà – Roberto Esposito Maurizio Ferraris – Anna Ferruta Marisa Fiumanò – Carmelo Licitra Rosa Silvia Lippi – Romano Màdera Aldo Masullo – Salvatore Natoli Massimo Recalcati – Augusto Romano Antonio Alberto Semi – Carlo Sini Carla Stroppa – Nicolò Terminio Rossella Valdrè – Nicla Vassallo Salvatore Veca – Marcello Veneziani Renzo Zambello – Luigi Zoja
Vasco Ursini
31 marzo 2018
Le due anime dell’Occidente, i suoi due inconsci:
“Noi siamo la Gioia. Questa parola non indica un sentimento psicologico: indica il gioire del Tutto per il suo essere il Tutto: appagamento di ogni bisogno, liberazione di ogni dolore, il colmarsi di ogni lacuna. Ma noi siamo anche la fede di essere circondati e penetrati dal dolore, dalla morte, dal niente. E facciamo presto ad allontanare dalla serietà della nostra esistenza la fola secondo cui noi siamo il gioire del Tutto. Noi siamo la Gioia e, insieme, la fede di essere tutt’altro. Due anime abitano nel nostro petto: una nascosta, e l’altra manifesta” (La strada, la follia, la gioia, p. 87)
Va ribadito qui che anche l’anima manifesta è manifesta solo parzialmente in quanto non sa, non può sapere, che la nientità dell’ente non è verità ma il frutto di un’interpretazione. L’inconscio nichilistico non è dunque il fondo ultimo dell’Occidente. Al fondo di quell’inconscio c’è un altro inconscio, un “inconscio dell’inconscio”, che consiste nella verità originaria dell’essere e che è presente nel profondo dell’anima di ogni abitatore del tempo.
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Vasco Ursini
23 febbraio 2016
“Ho costantemente l’impressione che da questo fatto accertato al di là di ogni dubbio dell’inalterabilità del rimosso ad opera del tempo, noi abbiamo tratto troppo poco profitto per la nostra teoria. Eppure qui sembra aprirsi un varco capace di farci accedere alle massime profondità. Purtroppo nemmeno io sono andato avanti su questo punto”.
(S. Freud, Opere di S, Freud (OSF), Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 186)
In questo passo del 1932 – non lontano dal termine del percorso del suo pensiero – Freud sembra quasi voler lasciare in eredità il compito di una riflessione sull’ “inalterabilità del rimosso”, cioè del contenuto dell’inconscio, “ad opera del tempo”, affidando ad essa la possibilità di nuove, essenziali, acquisizioni: di scoperte capaci di “farci accedere alle massime profondità”.
L’indifferenza del rimosso al tempo corrisponde a una delle caratteristiche fondamentali dell’inconscio, l’atemporalità. Ma l’indicazione di Freud si può estendere senz’altro alle altre caratteristiche dell’inconscio e, infine, alla nozione stessa di inconscio: si può dire senz’altro che l’esigenza che egli pone è, semplicemente, quella di una riflessione sull’inconscio.
E’ come se, facendo un bilancio della sua opera, egli dicesse: l’inconscio (nel suo senso psicoanalitico) è stato scoperto, ora si tratta di riflettere su questa scoperta, per giungere a nuove scoperte, ora si tratta di ‘pensarlo’.
Tra coloro che che hanno percorso la strada aperta da Freud, Ignacio Matte Blanco è stato quello che si è posto in maniera più esplicita il problema di raccogliere questo aspetto della sua eredità, quello che ha cercato con più intensità, di ‘pensare’, di cogliere, la realtà dell’inconscio, che ha sentito con un’intensità estrema: come una cosa “meravigliosa” e, insieme, “misteriosa”.
E il suo testo fondamentale, ‘L’inconscio come insiemi infiniti’ è soprattutto un’opera radicalmente aperta, attraversata da questa tensione a pensare la scoperta dell’inconscio nella forma di un problema irrisolto: un’opera che autorizza, se non esige, un ripensamento oltre se stessa”.
(Gabriele Pulli, L’inconscio come essere e come nulla. Saggio su Freud e Matteo Blanco, Liguori Editore, Napoli 1997, pp. 3-4).