Così cantano i morti, all’inizio del “Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie”:
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
ogni creata cosa,
in te, morte, si posa
nostra ignuda natura;
lieta no, ma sicura
dall’antico dolor. Profonda notte
nella confusa mente
il pensier grave oscura;
alla speme, al desìo, l’arido spirto
lena mancar si sente:
così d’affanno e di temenza è sciolto,
e l’età vote e lente
senza tedio consuma.
Vivemmo: e qual di paurosa larva,
e di sudato sogno,
a lattante fanciullo erra nell’alma
confusa ricordanza:
tal memoria n’avanza
del viver nostro; ma da tema è lunge
il rimembrar: Che fummo?
Che fu quel punto acerbo
che di vita ebbe nome?
Cosa arcana e stupenda
oggi è la vita al pensier nostro, e tale
qual de’ vivi al pensiero
l’ignota morte appar. Come da morte
vivendo rifuggìa, così rifugge
dalla fiamma vitale
nostra ignuda natura;
lieta no ma sicura,
però ch’esser beato
nega ai mortali e nega a’ morti il fato.
(G. Leopardi, il “Coro di morti”)