LA CONFUTAZIONE DEFINITIVA DELL’ARGOMENTO DI EMANUELE SEVERINO A FAVORE DELL’ETERNITÀ DI TUTTI GLI ENTI
Se anche si ammettesse – in omaggio al principio metafisico – che quella carta, che la comune degli uomini dice non esistere più, in quanto s’è vista bruciare, esiste invece ancora, ed eternamente, fuori dall’esperienza, e se perciò si ammettesse che, da questo lato ed in questo senso, l’esperienza non attesta il divenire, cioè non può decretare, come pura esperienza, che “l’essere della carta non è”; è però ineliminabile quel residuo di divenire contro cui Severino si arrovella col suo ampio argomentare: ossia il divenire – epperò il non-essere – dell’apparire della carta (di quella variante che è la carta). Se, infatti, io posso disgiungere, in un senso determinato, la carta dal suo apparire – in quanto affermo che esiste anche fuori dell’apparire – non posso disgiungere l’apparire dall’apparire, ossia da se stesso, affermando che l’apparire (della carta) esiste anche fuori dell’apparire (cioè fuori di se stesso!). Quando Severino assevera che, come la carta è eterna, così è anche eterno, eadem ratione, l’apparire della carta, si deve osservare che codesto eterno o immutabile apparire (chiamiamolo S, in omaggio al suo scopritore) non è lo stesso di quell’apparire (chiamiamolo A) in cui si verifica che, scomparendo la carta, vien meno, con ciò stesso, l’apparire della carta. Se, infatti, S e A fossero lo stesso,allora, essendo eterno l’apparire della carta in S, lo sarebbe anche in A. Perciò si deve ammettere che almeno questo residuo – “l’apparire della carta in A”, o che è lo stesso, l’“apparire A della carta” – è soggetto al divenire (in senso classico, cioè come implicante il non essere dell’essere). La proposta panteistica di Emanuele Severino risulta pertanto inaccettabile, in quanto c’è almeno questo minimum che non può essere divinizzato.
G. Bontadini, “Dialogo di Metafisica”