Per vivere è necessario credere, ma credere è restare isolati dal destino della verità e, dunque, credere è errare. Non c’è via d’uscita da questa triste condizione?
Sì che c’è una via d’uscita, perché – scrive Severino – “l’uomo non è soltanto “vita”, cioè credere ed errare. E’, nel finito, l’eterno apparire del destino. La vita, cioè la fede, appare all’interno della verità”. (Cfr. Intorno al senso del nulla, Adelphi, Milano 2013, p. 114).
Severino aggiunge: “Se l’esser uomo coincidesse col credere, sarebbe soltanto un credere anche l’affermazione che vivere è credere – l’affermazione nella quale si riconosce peraltro gran parte della cultura non solo filosofica del nostro tempo. E invece, nell’apparire della verità non smentibile del destino, tale affermazione non è un credere, ma una verità non smentibile” (Ibidem).
Ed ecco la conclusione di Emanuele Severino di questo suo essenziale pensiero:
“Lungo la storia dell’Occidente la “verità” non è riuscita ad essere la verità non smentibile del destino, che appare peraltro nel fondo più nascosto di ogni uomo. A volte il linguaggio la testimonia; la chiama, appunto, “destino della verità”. E come la vita crede che l’uomo esista e agisca nel mondo e sia l'”autore” dei linguaggi che parlano del mondo, così crede anche, a volte, che quella testimonianza sia l’agire di “qualcuno”, che qualcuno ne sia L'”autore” (Ibidem).