Se la violenza è la volontà che vuole l’impossibile, e se la volontà è essenzialmente un volere che qualcosa diventi altro da sé, allora – poiché il divenire altro da sé è qualcosa di impossibile (giacché l’impossibile è innanzitutto l’essere altro da sé) – la volontà è, ‘in quanto tale’, il volere l’impossibile, e cioè la volontà è, ‘in quanto tale’, violenza. La devastazione dell’uomo e della terra è la forma visibile della violenza; la carità, l’amore, la tolleranza sono forme nascoste della violenza.
(E. Severino, Oltre il linguaggio, Adelphi, Milano 1992, p. 26).
La volontà che si manifesta nell’amore e nella tolleranza è violenza infinita non meno di quella presente nell’odio e nell’intolleranza. Certo, noi tutti preferiamo vivere nella tolleranza e nell’amore piuttosto che nell’odio e nell’intolleranza. Ma questa preferenza non implica che l’amore e la tolleranza siano la strada che conduce al di fuori della violenza.
(Ivi, p. 33).
E’ una citazione che mi sta particolarmente a cuore. Da tempo sperimento la difficolta’ di dialogare sulla violenza quando gli interlocutori stanno dalla parte di cio’ che solitamente chiamiamo ‘positivo’ (accoglienza, serenita’, amore per il prossimo, gioia di vivere, progetto, sogno, ideale…). Come si fa a dire che tutto cio’ e’ violenza, a persone che si vorrebbe solo abbracciare? A volte scelgo il silenzio, ma e’ una scelta inconsistente. D’altra parte tutto cio’ e’ un problema dell’io empirico (che appunto ricorre a tutte le consolazioni e i rimedi, senza pero’ crederci del tutto). Anche queste parole sono solo uno ‘sfogo’ tanto inautentico quanto lo sono i rimedi cercati (si parva licet componere magnis).
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L’ha ripubblicato su Ontologia,Psicoanalisi,Logica..
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quando allora l’amore non è violenza? se l’amore è separato dalla volontà ed è insito in se stessi? se non interviene con la volontà sull’altro?
grazie per questi contributi !
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Quale allora l’alternativa, se esiste un’alternativa?
Anche Leopardi individuò e descrisse l’assoluta inesorabilità dell’esistenza e del suo essere un viaggio tra illusioni e verso il nulla, ma alla fine corresse per evitare incitamenti all’inazione e al suicidio. Il nichilismo si esprime in una spirale di spietata negazione, una forza centripeta di cancellazione e annientamento, senza tener conto che la volontà poggia su di una forza ancestrale e assoluta, almeno quanto il nulla, come l’istinto di sopravvivenza, capace comunque di manifestarsi nelle forme più sorprendenti. Le situazioni della vita possono senza dubbio ribaltare gli effetti delle nostre azioni, anche quando portate avanti dalle migliori disposizioni, ma noi siamo responsabili solo delle nostre intenzioni e non delle casualità che tali intenzioni concretizzate incontrano lungo il cammino. E le intenzioni sono buone, quando lo sono, o cattive; e albergano nei cunicoli, colonizzano i recessi del nostro essere come prodotto di un istinto, di sopravvivenza, che nega il nulla da sé e in sé.
Chiedo scusa per il farraginoso commento che arriva da una che si occupa soprattutto di poesia e letteratura, ma questo post come anche altri nel blog mi è apparso davvero intrigante e ringrazio.
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