Dike, un libro prezioso di Emanuele Severino
Nel mondo greco, la parola ‘dike’, che comunemente traduciamo con “giustizia”, si riferisce all’inizio alla dimensione giuridica e, prima ancora, religiosa. Ma la filosofia porta alla luce un significato essenzialmente più profondo di questa parola. Si può dire che l’avvento della filosofia coincida con l’avvento di tale significato. ‘Dike’ viene a significare l’incondizionata ‘stabilità’ del sapere. E richiede la stabilità incondizionata dell’essere. Riguarda tutto ciò che l’uomo può pensare e può fare. Secondo (seguendo) essa si svolge l’intera storia dell’Occidente. ‘Dike’ è chiamata da Aristotele “il principio” più stabile”: ‘bebaiotàte arché.
Questo significato di ‘dike’ compare per la prima volta nella più antica testimonianza del pensiero filosofico: il frammento di Anassimandro. Eschilo ne rende esplicita la conseguenza decisiva per l’uomo della tradizione occidentale: l’incondizionata stabilità del sapere e dell’essere è il “vero” rimedio contro il dolore e la morte. A tale conseguenza, dunque anche al rapporto tra Anassimandro ed Eraclito, mi sono rivolto altrove (cfr. Il giogo. Alle origini della ragione. Eschilo).
Nelle pagine che ora presento (in Dike, n.d.r.) si va invece verso le radici di quel significato. Soprattutto perché ‘dike’ e l’Occidente che ne è dominato – questi tratti grandiosi della storia dell’uomo -, ‘sfigurano’ il volto della stabilità autentica: il volto del ‘destino’ della verità.
Ora, dopo questa breve presentazione di Dike, c’è solo una cosa da fare: “leggerlo” e, possibilmente, “ruminarlo” (n. d. r.)
(Emanuele Severino, Dike, Adelphi, Milano 2015, Avvertenza, pp. 17-18)