Avevo promesso che avrei mostrato come Emanuele Severino “governa” le due anime che sono ovviamente anche nel suo petto. Ecco come le “governa” (Vasco Ursini):
Anche se “io” sono una volontà di testimoniare il destino, io credo ‘di più e più spesso’ nelle cose in cui comunemente si crede che non nel “destino della verità” – credo di più nelle cose in cui ‘credo’ che comunemente si creda, cioè nel “senso comune” (ossia in ciò che credo che sia il “senso comune”, e che non ha eccessive difficoltà a credere nella scienza), nella “vita quotidiana”: credo di più e più spesso nei contenuti della terra isolata, dalla quale sono spesso completamente avvolto: sono spesso assalito dal dubbio che il “destino” che peraltro voglio affermare, non sia altro che una mia costruzione arbitraria e che alla fine il nulla non risparmierà nessuno e nessuna cosa; ciò che, nel linguaggio con cui intendo testimoniare il destino. viene chiamato “terra isolata” e “nichilismo” è una grande sebbene disperante tentazione – anche se a volte, invece, la letizia mi invade per ciò che in quella testimonianza si dice.
Ma questa lunga frase (che potrebbe essere arricchita indefinitamente nella direzione da essa tracciata) non smentisce tutto quanto è affermato nei miei scritti?
Per nulla; anzi ne è la piena conferma.
Perché nel destino – cioè nel mio esser Io del destino – appare con necessità che chi è convinto del contenuto di questa frase è il mio esser io empirico nella sua appartenenza alla terra isolata e nel suo essere in vario modo avvolto dalle forme sapienziali in essa presenti. “Io credo di più nella vita quotidiana che non nel destino della verità”. E infatti l’io empirico è fede, e non può che “credere”. E “crede” non solo quando crede di più in quel che comunemente si crede, ma anche quando “crede” (con o senza “letizia” a cui sopra si è accennato) nel destino e non nei contenuti della terra isolata. In entrambi i casi questo io è nella non verità della fede, nella non verità in cui egli consiste.
Invece il mio esser Io del destino – la struttura originaria del destino – non crede di essere l’apparire del destino della verità, non crede in nessuno dei contenuti del destino che il linguaggio testimoniante il destino va indicando, non crede in nulla. E nemmeno questa è una smentita di quanto viene affermato nei miei scritti, ma ne è una conferma. Perché il destino (il mio, come ogni altro, esser Io del destino) è tale proprio perché è essenzialmente al di là e al di sopra della fede. Non crede in nulla perché è l’apparire della verità. Esso, che è il più vicino perché è ciò rispetto a cui si istituisce ogni vicinanza e lontananza, è l’autentico ‘Altro’ dagli umani e dai divini della terra isolata.
(E. Severino, Intorno al senso del nulla, Adelphi, Milano 2013, pp. 210-211).