Una delle più sconvolgenti affermazioni di Emanuele Severino, in riferimento a RITORNARE A PARMENIDE. Scheda di Vasco Ursini

Essenza del nichilismo è una delle opere più importanti di Emanuele Severino. Contiene molti scritti, uno più importante dell’altro. Tra questi, Ritornare a Parmenide   è certamente quello più sconvolgente perché in esso Severino rigetta l’intera tradizione filosofica e culturale dell’Occidente e ormai del Pianeta. Si crea cioè una situazione nella quale il suo pensiero viene a trovarsi nella regale solitudine del principio di non contraddizione  in un mondo sempre più nichilista: il destino della verità da una parte, il dilagante nichilismo dall’altra.

Ritornare a Parmenide si apre con queste affermazioni:

“1. Il tramonto del senso dell’essere

La storia della filosofia occidentale è la vicenda dell’alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell’essere, inizialmente intravisto dal più antico pensiero dei Greci. E in questa vicenda la storia della metafisica è il luogo ove l’alterazione e la dimenticanza si fanno più difficili a scoprirsi: proprio perché la metafisica si propone esplicitamente di svelare l’autentico senso dell’essere, e quindi richiama ed esaurisce l’attenzione sulle plausibilità con cui il senso alterato si impone. La storia della filosofia non è per questo un seguito di insuccessi: si deve dire piuttosto che gli sviluppi e le conquiste più preziose del filosofare si muovono all’interno di una comprensione inautentica dell’essere.

[ … ] E’ proprio nei pochi versi del poema di Parmenide che si nasconde la parola più essenziale e più dimenticata di tutto il nostro sapere. [ … ] Il gran segreto sta pur sempre in questa povera affermazione che “L’essere è, mentre il nulla non è”. Nella quale non si indica semplicemente una proprietà, sia pure quella fondamentale, dell’essere, ma se ne indica il senso stesso: l’essere è appunto ciò che si oppone al nulla, è appunto questo opporsi. L’opposizione del positivo e del negativo è il grande tema della metafisica, ma esso vive in Parmenide con quella sconfinata pregnanza che il pensiero metafisico non saprà più penetrare”.

Allo sconcerto per queste affermazioni di Severino non si sottrasse nemmeno Gustavo Bontadini, il suo maestro, che, infatti gli indirizzò una lettera di risposta che inizia così:

“Caro Severino,

la Tua Destruktion della storia della filosofia occidentale di cui hai dato saggio nella nota Ritornare a Parmenide (apparsa in “Rivista di filosofia neoscolastica, 1964, fasc. II, pp. 137-175) – francamente non mi persuade. Vera ed integrale distruzione di tutta la storia della filosofia, in quanto distruzione di tutta la storia della metafisica: è chiaro che per Te, metafisico – al cento per cento! -non resta niente di filosoficamente valido, quando è stata recisa l’innovazione ontologica. Tu dici che il “senso dell’essere”, lampeggiato in Parmenide, fu poi subito smarrito (già con lo stesso Eleate!) e non fu poi più ritrovato, se non con Te, Emanuele Severino. Tutti fuori della Verità, pertanto, eccetto voi due, l’antichissimo italico e Tu, vivo e gagliardo rampollo di questa stessa terra. Si dovrebbe dire che in tutta la filosofica famiglia – da Talete in qua – “giusti son duo, ma non vi sono intesi”, stante, appunto, la sordità di tutti gli altri.

Confesso che, quando lessi per la prima volta le Tue pagine, non volli credere ai miei occhi, tanto che me li sfregai energicamente a più riprese, poi toccai gli oggetti solidi intorno a me, tanto temevo di sognare, finalmente cercai di comporre nella mia fantasia l’immagine di una dattilografa burlona, che avesse cambiato i caratteri sulla carta. Niente. Non mi rimase che arrendermi, non riuscendo a trovare altra lettura”.

Questo è soltanto l’inizio di un lungo dialogo tra i due filosofi che ancora oggi costituisce uno dei più essenziali e significativi momenti della storia della filosofia italiana. (V.U.)

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