Emanuele Severino
GENESI DELL’ERRORE”La quale [ragione] è alienata perché non si avvede dell’aberrazione più profonda e più antica, che ha le sue origini nell’acme del pensiero occidentale, e cioè nel modo in cui Platone ebbe a dar vita all’oltrepassamento di Parmenide. Per il quale il determinato è non essere; ma in modo che l’essere e il determinato sono pensati come assolutamente indipendenti l’uno dall’altro, sì che il determinato, per questa sua assoluta indipendenza dall’essere, vien posto come un nulla. Perché il determinato sia posto come un nulla non è cioè sufficiente che si rilevi la sua diversità dall’essere; tanto è vero che Platone terrà ferma (e non poteva non tener ferma) questa diversità, ma insieme negherà che, per questo, il determinato debba essere inteso come nulla. Perché sia posto come nulla si richiede, ripetiamo, quell’astratta separazione che pone l’essere e il determinato come due assoluti, come due luoghi assolutamente irrelati, cosicché il determinato, come si diceva, proprio per questa sua assolutezza cade al di fuori dell’essere, nel nulla. Ma questa astratta separazione è il modo in cui l’uomo occidentale non ha mai cessato di pensare l’essere e la determinazione dell’essere – e cioè il modo in cui non ha mai cessato di pensare l’ente, se l’ente è la sintesi dell’essere e della determinazione. Platone si è lasciato sfuggire la grande occasione per pensare la verità dell’essere, perché anche lui (e dopo di lui tutto il pensiero occidentale) lascia al fondo del pensiero dell’ente l’astratta separazione dell’essere e della determinazione: proprio lui, che si presenta come il pacificatore della scissione […]. Accade cioè che la sintesi dei due momenti venga operata rispetto a due termini posti inizialmente come separati (cioè posti come li poneva Parmenide).[…] Noi diciamo che al fondo del ripensamento platonico si nasconde quella stessa astratta separazione, dalla quale, in superficie, Platone vuole liberare il pensiero dell’essere. […] Invece, per Platone, alla determinazione è proibito scrollarsi di dosso il suo ‘è’ non già in quanto essa sia una determinazione (ossia un qualsiasi ‘che’, che non sia nulla), ma in quanto è ιδέα, ossia è quel certo tipo di determinazione che si distingue dalla determinazione sensibile. Le cose, alle quali va imposto il sigillo di ‘essere ciò che è’ […] non sono ogni cosa […], bensì sono le essenze ideali delle cose visibili. E l’essenza ideale è posta come ente immutabile non già perché Platone si rammemori della verità di Parmenide – ossia non già perché si rammenti che l’essere (ossia ciò che esiste) non è il nulla e non può nemmeno diventare il nulla -, ma perché Platone si fonda sull’angusta evidenza dell’impossibilità che il bello, il giusto, il buono (a differenza delle cose belle, giuste, buone) non sia bello, giusto, buono; onde il bello è ὂ ἔστιν, perché non potrà mai cessare di essere il bello. Perché di qualcosa si ponga che è ὂ ἔστιν, non è sufficiente che esso sia un qualcosa, un non-nulla, ma si richiede che sia quel super-ente in cui consiste l’ιδέα. Se non è ιδέα, ed è semplicemente un qualcosa […], si riconosce che il nulla non può convenirgli, ma nel senso che non può convenirgli sin tanto che esso è, mentre può ben convenirgli quando non è. […]La distinzione tra essere e determinazione, che in Parmenide era una separazione assoluta, resta in Platone una separazione assoluta anche se l’essere diventa predicato della determinazione.”
E. Severino, “Essenza del nichilismo”, Adelphi, Milano 1982, pp. 71-73