EMANUELE SEVERINO SULLA POTENZA DELLA VOLONTA’, da: Emanuele Severino, Sul divenire – Dialogo con Biagio de Giovanni, Mucchi editore, Modena 2014, pp.43-44

Si richiami – non più che un cenno, che però va forse incontro allo spirito delle domande di de Giovanni – che nella terra isolata la volontà ‘crede’ di avere la potenza di trarre gli essenti dal loro non essere e di risospingerveli, ossia ‘crede’ anche, in certi casi, di ottenerlo.
E’ soltanto un credere, perché ciò che la volontà vuole è l’impossibile, sì che la sua convinzione di ottenere è necessariamente una fede, cioè un illudersi di ottenere.
Anche perché ciò che si crede di ottenere è sempre accompagnato da infiniti altri eventi (o eterni) che la volontà non aveva né previsto né voluto e che anzi si proponeva di evitare. Per questo la volontà non è mai sazia. Crede di aver ottenuto qualcosa, ma lo corregge continuamente.
La volontà è un eterno che provoca il destino; il destino risponde inviando gli spettacoli eterni della terra isolata.
In altri termini, ciò che la volontà vuole è qualcosa di separato dal contesto che accade insieme a ciò che essa crede di ottenere. Infatti, ogni contesto non separato dal voluto conferisce al voluto un significato diverso da quello che la volontà intende ottenere, e la volontà non può proporsi di volere come debba configurarsi l’intero contesto in cui si produce il voluto – sì che essa è appunto, esenzialmente, un separare, un isolare il voluto dal contesto che lo accompagna. Ma, poiché ogni essente è eterno, nessun essente è separato dagli altri. Quindi anche la separazione del voluto dal contesto è un illudersi di aver separato ciò che invece è l’inseparabile. Accade – incomincia ad apparire e esce dall’apparire – ciò che è destinato ad accadere, non ciò che la volontà vuole.
(Il brano è tratto da: Emanuele Severino, Sul divenire – Dialogo con Biagio de Giovanni, Mucchi editore, Modena 2014, pp.43-44).

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