Glossario delle espressioni chiave della filosofia di Emanuele Severino
da: Nicoletta Cusano, Emanuele Severino – Oltre il nichilismo, Morcelliana, Bresci 2011, p. 525
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de-stino: significa lo ‘stare innegabile’ dell’essere. Il termine deve essere inteso in senso etimologico: il de- non ha significato depotenziante ma potenziante (Severino richiama il caso del verbo latino ‘de-amo’ che significa “amare più intensamente”); ‘stino’ deriva (come ‘epi-steme’) dal corrispondente verbo greco che significa ‘stare’. Il de-stino è lo stare innegabile ed eterno che ‘sta e non cede’ (‘ne-cedo) alla propria negazione.
necessità: indica l’impossibilità che il destino ‘ceda’ al proprio negativo. Il fondamento di tale impossibilità consiste nella immediata autonegatività della negazione del destino.
epi-stéme e anti-epistéme: sono le due forme fondamentali del sapere all’interno della civiltà occidentale. Sono in antitesi tra loro, poiché l’epistéme è l’affermazione dell’esistenza di una verità assoluta e definitiva mentre l’anti-epistéme è negazione che tale verità possa esistere, ma hanno il medesimo fondamento: la fede nell’evidenza del “divenire”. Per questo non si deve confondere il de-stino severiniano con l’epistéme occidentale.
nichilismo: la fede nell’evidenza del divenire porta a ritenere che l’essente sia essenzialmente libero di oscillare tra l’essere e il niente, ovvero che il suo “ciò che” sia originariamente separato dal suo “è”. Da Platone in poi l’ente è quel non-niente cui compete essenzialmente la libertà di venire dal niente e tornare nel niente. Per questo Severino, riprendendo Parmenide, definisce gli abitanti della civiltà occidentale ‘dìkranoi’, ossia dalla “doppia testa”, e parla di “follia” del nichilismo, mettendone in luce il carattere essenzialmente ‘inconsapevole’: il nichilismo non si accorge di pensare l’essere come nulla, ma crede, al contrario, di pensarlo come essere. Un esempio primario è il principio di non contraddizione aristotelico, che, temporalizzando l’essere, identifica l’essere al non essere proprio nell’atto in cui è convinto di contrapporli. In questo senso il nichilismo è definito l'”inconscio del mortale”.
il mortale: all’interno del nichilismo l’uomo è convinto di essere mortale, pur essendo presente in lui, seppure nel più profondo inconscio, la propria eternità. L’uomo è questa convivenza. Per questo Severino definisce “mortale” chi dimora nel nichilismo, intendendo la dimensione in cui ha luogo lo scontro tra il destino e l’isolamento della terra.
isolamento: è la fede che separa l’essente dal destino e dunque vuole l’impossibile. L’isolamento fondamentale consiste nell’isolare il “ciò che” dell’essente dal suo “è”.
struttura originaria: è la ‘sintassi’ fondamentale dell’essere, ciò che è necessariamente presente in quanto un essente appare. In questo senso essa è il “fondamento”, anzi, l'”essenza del fondamento”. Ciò significa che essa non è ‘semplicemente’ fondamento, ma che è ciò che il fondamento deve essere per essere fondamento: essere fondamento significa essere “originario” ed essere originario significa essere “struttura”. Originario ‘significa’ immediatamente essente e immediatamente apparente, ovvero essente per sé e non per altro (se fosse noto o essente per altro, non sarebbe originario). Che l’ente sia è ‘per sé noto’: ciò per cui l’essere è noto è lo stesso essere che è noto. Ciò significa che l’essere è ‘immediatezza fenomenologica’ (F-immediato), ovvero l’immediatezza della presenza della connessione tra il soggetto e il predicato della proposizione “l’essere è”. L’immediatezza della connessione tra il soggetto e il predicato della proposizione “l’essere è” è l’immediatezza della identità-incontraddittorietà dell’essere: ‘immediatezza logica (‘L-immediato’). Il fondamento è originario perché la sua negazione è tolta originariamente (in quanto autonegazione immediata); se non fosse originario, non sarebbe fondamento. Dunque il fondamento è originario e l’originario è fondamento. Ma in questo modo il fondamento-originario è un “fascio” di significati, un semantema complesso, un ‘complesso di predicazioni e significati cooriginari: una “struttura”. L’essere è ‘struttura’ in quanto è ‘originario’, ed è ‘originario’ in quanto è ‘struttura’. La “struttura originaria” è il complesso logico-semantico che costituisce la ‘forma essenziale’ di ogni essente, ciò che ogni essente ‘formalmente’ “è”, o meglio, ciò con cui è necessariamente “in relazione”.
cerchio dell’apparire del destino: è l’apparire trascendentale in cui appare l’apparire empirico, ossia l’apparire degli essenti particolari.
“Trascendentale” qui non significa l’universale presente in ogni particolare, ma ciò che include in sé ogni apparire empirico. Anche l’apparire è una struttura logico-semantica, cioè una unità non semplice, perché consiste nell’apparire dell’apparire dell’apparire e nell’identità di “logico” e “fenomenologico”. L’apparire è essenzialmente autoapparire, ossia apparire del destino a se stesso, perché non può apparire “a” un destinatario diverso da se stesso. Se lo si intende così, si finisce in un regresso infinito, poiché anche quel termine diverso da sé, a cui l’apparire apparirebbe, dovrebbe “apparire a”, e quell'”a” sarebbe un altro termine che dovrebbe apparire a un luogo diverso da sé, e così via all’infinito. In quanto è coscienza di autocoscienza (apparire dell’apparire dell’apparire) il cerchio dell’apparire del destino è “Io”.
terra: la totalità degli essenti sopraggiungenti nel cerchio del destino.
terra isolata: è la terra in quanto isolata dal destino, ossia dalla sua verità. Così isolata, la terra è nulla, ovvero è il “positivo significare del nulla”.
terra che salva: si tratta della terra che libera dall’isolamento del destino. Nell’isolamento l’apparire del destino è contrastato dall’isolamento. Ciò significa che l’apparire del destino, in quanto tale, non impedisce l’apparire dell’isolamento della terra. Con l’apparire della terra che salva sopraggiunge una terra che non consiste solo nell’apparire del destino, ma nell’apparire del destino in quanto non più contrastato dall’isolamento e in questo senso “salvato”.
contraddizione C: poiché nell’Io finito del destino non può apparire l’Io infinito del destino, l’Io finito ‘isola’ l’essente dalla totalità concreta. Tale “isolamento” prende il nome di contraddizione C, giacché l’Io finito si contraddice mostrando un tutto che non è il tutto. Ma tale contraddizione è essenzialmente diversa dalla contraddizione in cui consiste l’isolamento nichilistico. L’Io finito del destino, infatti, non nega il destino come innegabile esser sé dell’essente, ma semplicemente non lo mostra nella sua totalità concreta: il destino non viene negato ma taciuto. L’isolamento nichilistico, invece, nega l’esser sé dell’essente e cioè nega il destino della verità. Mentre nel primo caso si tratta di un silenzio della verità su se stessa, nel secondo caso si tratta della negazione dello stare eterno e innegabile dell’essente (affermando il divenire altro dell’essente). Questa differenza è particolarmente importante. Infatti, se si dicesse che anche l’Io finito del destino è isolamento nel senso della negazione della verità, l’Io finito del destino non sarebbe de-stino e l’esistenza dell’Io infinito del destino, quale toglimento originario di ogni contraddizione, non potrebbe essere affermata. Ferma restando l’essenziale diversità tra le due contraddizioni, va però rilevato che la contraddizione C è la matrice originaria dell’isolamento della terra e della mortalità del mortale: se il Tutto apparisse nella sua concretezza, l’isolamento della terra dal destino non avrebbe luogo.
differenza ontologia: premesso che ogni vicinanza con la Differenza heideggeriana è puramente terminologica, la differenza ontologica severiniana indica la differenza tra l’essente in quanto appare circondato dal tutto concreto e l’essente in quanto appare nell’apparire finito, cioè separato dalla totalità concreta.
Gloria: indica la necessità che nessun essente della terra, in quanto sopraggiungente, sia “non inoltrepassabile”. Questa espressione non può essere sostituita da quella più semplice di “oltrepassabile”, perché quest’ultima indica semplicemente la ‘possibilità’ che qualcosa sia oltrepassato, mentre Severino allude all”impossibilità’ che ciò che sopraggiunge non sia oltrepassato, ossia alla necessità che ogni sopraggiungente sia oltrepassato. La Gloria è dunque l’inesauribile oltrepassare in cui la contraddizione C viene progressivamente tolta, senza poterlo mai essere completamente (in tal caso, infatti, si avrebbe l’impossibile identificazione di finito e infinito). La Gloria, come inesauribile sopraggiungere-oltrepassare di eterni, è il senso autentico del tempo.
io individuale: ‘ uno degli essenti isolati che appaiono nell’Io del destino. E’ l’apparire consistente nella (impossibile) volontà come fede nel diventare altro, ossia quale fede isolante la terra dal destino. La differenza tra Io del destino e io individuale è essenziale: mentre l’Io finito del destino è un contraddirsi (contraddizione C) che è tolto nell’apparire infinito, l’io individuale in tale apparire non è tolto come contraddizione, ma mostrato come negazione del destino.
Io finito del destino: è l’essenza autentica dell’uomo quale apparire autocosciente di sé (Io). In esso la totalità dell’essente appare processualmente e dunque non nella sua concretezza. Per questo si dice che è “finito”. La processualità dell’accadere che esso ospita è il progressivo toglimento della “contraddizione C”. Severino lo definisce “l’occhio di luce in cui so mostra il Dio”, precisando che si tratta di un occhio sempre aperto, senza palpebra; una luce sempre accesa, che non si può spegnere (avrebbe luogo, in tal caso, l’impossibile: l’annullamento di quell’essente che è appunto l’apparire finito). Esso non può nemmeno smettere di apparire, come l’apparire empirico, perché per iniziare a smettere di apparire dovrebbe entrare e uscire da se stesso.
Io infinito del destino (Gioia): è l’apparire autocosciente di sé (Io) in cui appare da sempre e per sempre la totalità concreta dell’essente nella sua assoluta pienezza. In esso ogni contraddizione è ‘originariamente’ tolta: se non lo fosse, il destino avrebbe il proprio negativo “davanti” a sé, come qualcosa che deve essere tolto, e dunque non sarebbe de-stino. L’apparire infinito del destino non può apparire nella sua concretezza, nell’apparire finito del destino; e in quanto non vi può apparire, ne è l’ ‘inconscio’