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Stefano Paduano
LA STRUTTURA ORIGINARIA in Emanuele Severino
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EMANUELE SEVERINO IN COMPENDIO
La struttura originaria e l’apparire
Finalmente da qualche tempo si parla spesso di “struttura originaria”. Era ora!
Ma ci si dimentica di sottolineare che anche “l’apparire” è una “struttura”, cioè un complesso logico-semantico, una unità non semplice.
L’apparire, infatti, non è qualcosa di fenologicamente “puro”, ma un’identità-innegabilita’ logica, un esser-sé che nega di non esser non-sé.
Proprio in quanto l’apparire “è” apparire il “fenomenologico” è già “logico”, così come il “logico” è già “fenomenologico” in quanto l’identità-innegabilita’ logica “appare” come identità-innegabilita’ logica.
Questa struttura fenomeno-logica si articola in 3 momenti, che costituiscono quell’unico atto che è “l’apparire”: “l’apparire dell’apparire dell’apparire”, cioè la “coscienza di autocoscienza”.
« Se si sostiene che rimane pur sempre la libertà di pensare ad altre cose, di scegliere o di prendersi cura per altre cose che non siano la filosofia, questa libertà è la libertà di trovarsi nell’infondatezza o addirittura nella contraddizione. »
Emanuele Severino, “La struttura originaria”
Con questo lavoro si intende portare a compimento l’indagine critica su La struttura originaria, iniziata con Il concetto di «relazione» nell’opera diSeverino. A partire da «La struttura originaria» (pubblicato presso le nostre edizioni, 2018). Il discorso svolto da Severino viene ripreso, cercandodi individuarne il filo conduttore che possa rendere pienamente intelligibile il passaggio al tema della «metafisica originaria», che conclude l’Opera. Vengono presi in esame i concetti di «immediatezza», «differenza» e «negazione», onde pervenire al concetto di «manifestazione», che si esprime più compiutamente nella forma della «manifestazione dell’intero». L’essere, ossia l’intero, viene posto da Severino come un «insieme» o anche come quell’«orizzonte» che è in grado di contenere tutti gli enti: in entrambi i casi, è la relazione che costituisce la sua intrinseca struttura. A tale concezione viene opposto un essere che valga comeassoluta unità, dunque come il superamento stesso della molteplicità e delle determinazioni. Un essere, quindi, che coincida con quello indicato da Parmenide e che non può non valere quale esclusione in atto del non-essere, ossia comenegazione di un «intero» che venga inteso come «insieme» di elementi ocome «totalità», assunta nella forma di un tutto-di-parti.
Vasco Ursini a Amici di Emanuele Severino
Il pensiero di Emanuele Severino, da ‘La struttura originaria’ (1958) a ‘Dike’ è assolutamente fedele alle sue premesse, del tutto lineare e il suo linguaggio del tutto compatto.
E tuttavia, a ben guardare, si possono cogliere nel suo discorso, soprattutto a livello di stile compositivo, profonde variazioni. Anche nello sviluppo del suo pensiero Severino è andato incontro a progressi ed aggiustamenti significativi di direzione. Si pensi ai tratti “nichilistici” presenti ne ‘La struttura originaria’ e al loro graduale superamento in ‘Ritornare a Parmenide’ e in tutte le successive opere.
Va però detto, a chiare note che queste “variazioni” che caratterizzano il suo itinerario di pensiero non sono mai delle ritrattazioni. Severino, imboccata la strada della verità del destino, non è più tornato indietro e ha proseguito senza tentennamenti e ripensamenti in quella direzione compiendo ovviamente dei “passi in avanti” nell’arco di una riflessione filosofica che dura da 58 anni.
“Passi in avanti” che egli stesso ci dice come vanno interpretati:
“Il passo innanzi è possibile perché si appoggia al primo passo; ma non come nell’andatura dove ogni passo sembra anche cancellare quello precedente, ma [ … ] come una scala, dove i gradini più bassi rimangono sebbene ci siano quelli più alti, e li sostengono; anche se, stando su quelli più alti, si può vedere qualcosa che non si riusciva a vedere rimanendo su quelli più bassi. I gradini della scala sono infiniti. Il linguaggio non potrà mai percorrerli tutti. Ma l’intera scala infinita appare già da sempre in ognuno di noi. Il nostro esser Io del destino è il mostrarsi di questa scala – la scala del destino della verità”.
ALDO STELLA: <<Determinazione reciproca e identità dei diversi ne “La struttura originaria”>>.
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Riporto un testo integrale dei Proff. ALDO STELLA e GIANCARLO IANULARDO.
<<La Struttura Originaria (SO) è il luogo a cui Severino rinvia costantemente per la più compiuta presentazione dell’essenza del fondamento, da cui dipende, sebbene rimodulata e affinata in opere successive, l’intera sua teoresi filosofica. Tale struttura si caratterizza per la compresenza di un insieme di significati tra
loro immediatamente connessi, ragion per cui l’essenza del fondamento si presenta come «una complessità o l’unità di un molteplice». Per Severino l’essere, infatti, «non può rimanere il semplice, ma è quel complesso semantico in cui consiste l’esser sé dell’identità», e più oltre aggiunge: «col termine “essere” si intende una complessità o concretezza semantica i cui momenti astratti sono l’essere formale e le determinazioni di questa
formalità». La relazione diventa, pertanto, l’essenza stessa della «struttura», così che ogni determinazione separata da tale struttura configura l’astratto, laddove il concreto è la sintesi originaria, che inscrive ciascun dato nella totalità dell’immediato. Severino, inoltre, ha più volte richiamato l’attenzione sul carattere incontrovertibile di tale struttura, poiché chiunque volesse negarla dovrebbe presupporla. Se, dunque, l’originario è una struttura e la relazione costituisce l’essenza di questa struttura, è da sottolineare con forza
che la determinazione reciproca costituisce l’essenza di ogni relazione, dal momento che esprime la reciprocità tra i termini che la costituiscono. Il tema della determinazione reciproca viene preso in esame inizialmente nel II Capitolo della SO, allorché si ragiona sull’immediatezza dell’essere. Severino chiarisce che non si può fornire dimostrazione dell’immediatezza dell’essere, perché, se lo si facesse, proprio tale immediatezza verrebbe negata. Poiché ciò per cui si sa che l’essere è noto è lo stesso essere, l’essere è immediatamente noto. L’essere, dunque, è affermato (noto) per sé e ciò significa escludere che sia affermato (noto) per altro. Ci si trova così di fronte a una struttura, che si costituisce di due momenti coessenziali. Il primo momento è rappresentato dall’essere per sé noto dell’essere, e il secondo momento dal suo essere noto non per altro. Tra noto per sé e noto non per altro non v’è un’antecedenza logica, che costituirebbe la fondazione di uno dei due momenti da parte dell’altro. L’immediatezza, pertanto, non può venire intesa in senso discorsivo: il discorso, infatti, dispone i momenti uno dopo l’altro e non può cogliere la loro coessenzialità o la loro cooriginarietà. Coessenzialità e cooriginarietà che vengono, invece, attestate proprio dalla determinazione reciproca, la quale svolge la funzione di esplicitare la struttura dell’immediatezza logica e di ricondurne i momenti a quella unità, che viene poi definita identità dei distinti. Si tratta di una determinazione reciproca per la ragione che i due momenti che costituiscono la struttura possono venire espressi da due giudizi identici: il primo dice che «Noto per sé (soggetto) è ciò che è determinato da noto non per altro» e il secondo dice che «noto non per altro è ciò che è determinato da noto per sé». Severino afferma che si tratta di due giudizi identici e fonda l’identità sulla medesimezza di soggetto e predicato. Tale medesimezza risulterebbe in virtù dell’implicazione necessaria che sussiste tra di essi e l’implicazione necessaria attesterebbe che l’un termine non può stare senza l’altro, così che l’un termine sarebbe, in qualche modo, l’altro: «questo concetto significa la relazione immediata dei distinti, per la quale ognuno dei due non è senza l’altro». Quest’ultimo concetto viene ribadito anche nel VI
Capitolo, a proposito della sintesi, che è una relazione meno cogente della relazione immediata dei distinti:
«Questi momenti costituiscono una sintesi tale per cui l’uno dei due – essendo determinato dall’altro – è in qualche modo l’altro», ma anche a proposito della connessione in generale: «la connessione importa […] che qualcosa sia l’altro con cui è connesso». Se, dunque, la considerazione astratta e astraente pone i due momenti della determinazione reciproca, che si traducono poi in soggetto e predicato dei due giudizi, come indipendenti l’uno dall’altro, e cioè come se l’uno non appartenesse all’essenza dell’altro, la relazione reciproca, di contro, svela la loro coessenzialità e la coessenzialità, a sua volta, sancisce l’identità dei diversi. La questione che intendiamo sollevare può venire riassunta nei seguenti termini: se la relazione viene pensata in modo ordinario, e cioè come costrutto mono-diadico, essa in tanto si mantiene come relazione in quanto poggia sulla differenza dei termini relati. Allo stesso modo, il giudizio si mantiene, in senso formale, solo in forza della distinzione di soggetto e predicato. Come poter conciliare, dunque, la relazione, intesa come costrutto (e cioè come due
termini e un medio che li congiunge), con la coessenzialità dei termini relati? A noi sembra che la coessenzialità impedisca di pensare la relazione come estrinseca rispetto ai suoi termini; essa deve venire pensata, piuttosto, come intrinseca e costitutiva di entrambi. Se non che, qualora la relazione venga pensata come intrinseca e costitutiva di ciascun termine, si produce una fondamentale trasformazione sia dei termini sia della relazione stessa. Quest’ultima cessa di valere come costrutto e si essenzializza in atto, dal momento che i suoi termini cessano di valere come due identità, formalmente compiute, per risolversi nell’atto del loro reciproco riferirsi. In questo senso, si realizza l’effettiva unità dei diversi: ciascun termine si risolve nell’atto, che è unico e medesimo per entrambi. Tutto ciò, però, ha importanti conseguenze. La prima conseguenza è che, nel parlare dell’unità dell’atto, non parliamo più di unificazione o di sintesi. Nell’unificazione viene mantenuta la dualità degli unificati, che invece debbono trascendersi nell’atto. L’unificazione, tuttavia, mantenendo i termini, mantiene la loro determinatezza, e ciò ha un indubbio vantaggio dal punto di vista formale, perché consente di mantenere la determinatezza anche dell’unificazione. Se, invece, si riconosce che i termini non possono non trascendersi nell’atto, si deve accettare che venga meno anche la determinatezza dell’unità e, reciprocamente e scambievolmente, se si realizza la vera unità, allora non possono non venire meno i termini (ablatio alteritatis) con la loro determinatezza. Severino ci sembra che, da un certo punto di vista, intenda pervenire alla vera unità, ma, da un altro punto di vista, intenda mantenere la determinatezza e a noi pare che con ciò finisca per conciliare gli inconciliabili.
Se non che, delle due l’una:
AUT si parla di coessenzialità, ma allora, se l’un termine è essenziale all’altro, l’altro è costitutivo dell’uno, così che ciascuno è in sé l’altro; ciascuno è, in sé, sé et non-sé, ossia ciascuno è in sé il proprio contraddirsi;
AUT si intende mantenere la determinatezza, ma allora non si può mai pervenire a un’autentica identità dei diversi, la quale è effettiva solo se la molteplicità si risolve nell’unità autentica, che non può venire confusa con l’unificazione>>.
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La domanda: <<Come poter conciliare, dunque, la relazione, intesa come costrutto (e cioè come due termini e un medio che li congiunge), con la coessenzialità dei termini relati?>> riassume bene il senso problematico che presenta la tesi di Severino agli occhi dei Proff. STELLA e IANULARDO.
Infatti, essi ritengono che <<pervenire alla vera unità>> mantenendo <<la determinatezza>> <<finisca per conciliare gli inconciliabili>>.
Pertanto, secondo i due professori, <<delle due l’una:
[1] AUT si parla di coessenzialità, ma allora, se l’un termine è essenziale all’altro, l’altro è costitutivo dell’uno, così che ciascuno è in sé l’altro; ciascuno è, in sé, sé et non-sé, ossia ciascuno è in sé il proprio contraddirsi;
[2] AUT si intende mantenere la determinatezza, ma allora non si può mai pervenire a un’autentica identità dei diversi, la quale è effettiva solo se la molteplicità si risolve nell’unità autentica, che non può venire confusa con l’unificazione>>.
Mi pare, però, che in realtà tale <<AUT-AUT>> non sussista.
Quanto ad [1], <<l’un termine è essenziale all’altro, l’altro è costitutivo dell’uno>> sì, ma come TRACCIA, ovvero come negato. La TRACCIA non è comporta che <<ciascuno>> sia <<in sé l’altro>>, sia <<in sé, sé et non-sé, ossia [che] ciascuno [sia] in sé il proprio contraddirsi>>, perché affermare ciò significa RICONOSCERE che tale supposto <<contraddirsi>> comporta il previo RICONOSCIMENTO che <<l’un termine>> sia incontraddittoriamente DIVERSO dal proprio altro, il che vuol dire che tale DIVERSITÀ è incontraddittoria in quanto è già attestata ‘a monte’ del suo supposto esser contraddittoria, perché se così non fosse, non potremmo ritener di rilevare la contraddittorietà di ciò che non si mostrerebbe diverso.
Pertanto la supposizione della contraddizione PRESUPPONE l’apparire della diversità NON-CONTRADDITTORIA de <<l’un termine>> dall’altro.
Poiché questa diversità PRECEDE la tesi della contraddittorietà dei termini, allora <<ciascuno>> di essi NON <<è in sé il proprio contraddirsi>>, perché ‘y’ è in ‘x’ COME TRACCIA O COME NEGATO, il che vuol dire che la presenza di ‘y’ è presente in ‘x’ ASTRATTAMENTE.
Questo ci ricollega a [2]; <<si intende mantenere la determinatezza>>, certamente, in quanto l’<<autentica identità dei diversi>> non deve risolversi <<nell’unità>> come IN-DISTINZIONE, ciò che gli autori chiamano <<unità autentica>>, perché è proprio l’impossibilità de <<l’unificazione>> _ attribuita implicitamente a Severino _ a non potersi MAI costituire, essendo, essa, il tentativo ( = il DIVENIRE) che intende UNIFICARE i diversi ORIGINARIAMENTE IRRELATI quindi NON-COAPPARTENENTISI ORIGINARIAMENTE.
Pertanto, l’<<unificazione>> che si crede di poter attribuire a Severino, è in realtà, proprio dal punto di vista di Severino, impossibile, cosicché l’<<unità autentica>> non può non essere UNITÀ-DEI-DISTINTI, giacché l’unità intesa come IN-DIFFERENZIAZIONE _ oltre a comportare l’essere (oramai diventati) NULLA da parte dei diversi nel RISULTATO ( = DIVENIRE) del loro trascendimento _ non è attestata né fenomenologicamente né logicamente.
RF
Le “necessità” dell’Occidente e la “Necessità” che incomincia ad essere testimoniata ne “La struttura originaria” di Emanuele Severino
C’è un abisso tra i due modi di intendere la “necessità”. Per l’Occidente la Necessità è la volontà di dominare il divenire, che si fonda sulla forma originaria della volontà di potenza, cioè “sulla volontà che il divenire sia e le cose siano disponibili all’essere e al niente (…) Solo al di fuori della storia dell’Occidente è possibile la testimonianza della Necessità (…) Le “necessità” dell’Occidente sono destinate al tramonto (…) Se ‘filosofia’ non significa il mettersi in cammino verso la verità, muovendo dalla non verità e camminando lungo i sentieri interrotti della non verità (…), ma significa la ‘cura’ per il ‘chiarore’ della Necessità, allora solo al di fuori dell’Occidente (…) la filosofia è possibile, e con essa viene compiuto il primo passo lungo il “Sentiero del Giorno”.”
Vediamo ora come Severino definisce la Necessità:
“La Necessità, che già da sempre si apre al di fuori dell’isolamento della terra e della storia dell’Occidente, non è una dottrina che passi da uno a un altro, e nonè nemmeno qualcosa di “capito” da uno o da molti. In quanto “capita” da uno o da molti diventa semplicemente la “prospettiva” di uno o di molti, qualcosa cioè che non può essere la Necessità. La testimonianza della Necessità può avere un “ascolto”. Ma se nell’ascolto la Necessità appare come tale, l’ascoltamnte non può essere “uno di noi”, un mortale o un dio, non può essere “il mio prossimo”. Se la Necessità non può essere ciò che “uno” ha scoperto, e che dunque sta entro i limiti dello sguardo di quest’uno, la Necessità non può essere nemmeno ciò che “un altro” o “altri” ascoltano. Se nell’ascolto la Necessità appare come tale, l’ascoltante non può essere che la Necessità stessa, L’ascoltarsi è daccapo il suo apparire”.
Essere nella verità
Si ha ragione quando si sa di averla, e cioè quando si sanno le proprie ragioni, perché è appunto sapendole che si può mostrare l’insostenibilità delle affermazioni contrarie.
di Emanuele Severino
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Sin dal suo inizio storico la filosofia è stata la volontà di incarnare il sapere assolutamente innegabile. Ma come è possibile «la stabile conoscenza della verità», si chiede Emanuele Severino, «in un clima come quello del nostro tempo, dove non solo la scienza, ma la filosofia stessa ha quasi ovunque voltato le spalle a ciò che essa ritiene il “sogno” di un sapere siffatto?».
In verità, già nel modo in cui la «scienza della verità» compiva i primi passi era presente l’errare più radicale in cui l’uomo possa trovarsi, quella che per Severino è la Follia estrema: «la fede nella quale si crede che le cose diventano altro da ciò che esse sono … affermando che l’evidenza suprema è che le cose escono dal nulla (dal loro non essere) e vi ritornano».
Tutta l’opera di Severino, sin dal suo primo libro (La struttura originaria), è volta dichiaratamente allo «smascheramento della Follia di questa fede», per «consentire al linguaggio di testimoniare l’assoluta innegabilità del destino della verità».
E in queste pagine l’intero percorso viene ripresentato nell’insieme dei suoi tratti fondativi, approfondendone alcuni temi centrali quali
Un percorso, dunque, attraverso l’intero ‘terreno’ di Severino, da cui il lettore potrà spaziare con lo sguardo: «Non basta possedere un campo: bisogna coltivarlo. Il campo di cui qui si tratta è l’insieme dei ‘miei scritti’. Un linguaggio, dunque. E anche questo libro intende indicare l’autentica “pianura della verità”».
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Testimoniando il destino | Emanuele Severino – Adelphi Edizioni
PARTE 1°: LA STRUTTURA ORIGINARIA
PARTE 2°: L’ESSENZA DEL NICHILISMO
PARTE 3°: DESTINO DELLA NECESSITA’
….
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<<“Per affermare che l’essere è non c’è bisogno, né puo esserci bisogno, di alcuna mediazione”: ciò significa : “Che l’essere sia è per sé noto”. Per sé noto: cioè noto non per altro. Se ciò per cui l’essere è noto è lo stesso essere che è noto, che l’essere sia è immediatamente noto o presente. Immediatezza fenomenologica.>>
(E. Severino, “La struttura originaria”, cap.2 “L’immediatezza dell’essere”, par.1 “L’immediato”)
<<Se a questo punto si volesse dire che “ciò per cui” è noto che l’essere è, è qualcosa come la coscienza (o il “soggetto”, o l’ “io”, ecc.), bisognerebbe osservare che la coscienza non solo è ciò per cui si afferma che l’essere è, Ma è anche ciò per cui si ha la facoltà di negare che l’essere sia. Pertanto la coscienza ( o i termini equivalenti), come tale, non è ciò per cui è tenuta ferma l’affermazione piuttosto che la negazione. Il “ciò per cui” è noto che l’essere è, ha quindi un significato differente dal “ciò per cui” è lasciata sussistere tanto l’affermazione come la negazione dell’essere: la differenza sussiste per quel tanto appunto che ciò per cui è noto che l’essere è, esclude la.negazione che l’essere sia. Si dirà allora che il “ciò per cui” è affermato che l’essere è, è principium cognitionis. Ma con l’avvertenza che qui il “principio”, il fondamento è la cognizione stessa (e cioè è l’affermazione che l’essere è).>>
(E. Severino, “La struttura originaria”, cap.2, par.3 “Principium cognitionis
Ne La struttura originaria si configura la più compiuta presentazione dell’essenza del fondamento e Stella intende dimostrare che quella struttura, di cui Severino afferma il valore originario, è la relazione, la quale può venire intesa sia come costrutto mono-diadico sia come l’intrinseco riferirsi dei termini. In Severino sono presenti entrambe queste accezioni, ma la seconda non viene compiutamente fatta valere, cioè non viene portata alle sue naturali e necessarie conseguenze; ciò forse è dovuto al fatto che le due accezioni sono a tal punto teoreticamente divergenti, che risultano addirittura incompatibili. Intendere l’originarionella forma di una struttura, e dunque di una relazione, ha conseguenze rilevantissime su tutto l’impianto teoretico del pensiero di Severino e, nello scritto di Stella, vengono individuate alcune di queste conseguenze, quelle che risultano più significative. La ricerca viene suddivisa in due scritti. Nel presente, sono trattati i temi fondamentali che emergono da quella parte de La struttura originaria che introduce alla «manifestazione dell’intero» e alla «metafisica originaria». Nel successivo, l’attenzione si concentrerà proprio su questi due temi, che costituiscono la parte finale dell’Opera.
Indice
Introduzione
CAPITOLO PRIMO
L’originario come struttura
Il fondamento e la sua negazione
L’apertura originaria
Senso e valore dell’immediatezza
Immediatezza e discorso
L’immediatezza dell’essere
La struttura originaria e l’identità di essere e pensare
Il fondamento e la sua medesimezza
Dipendenza e indipendenza del fondamento dalla negazione
Il concetto di esperienza
Negazione e fondamento
Approfondimento tematico
Ripresa tematica: il valore dell’esposizione del fondamento
Fondazione e presupposizione
Analisi e sintesi in Severino
Unificazione e relazione
Astratto e concreto
Il contraddirsi dell’astratto
La discorsività
La non originarietà della sintesi
La filosofia
Il rapporto con la verità
CAPITOLO SECONDO
Immediatezza fenomenologica e logica dell’essere
La determinazione reciproca
Identità originaria e identità dei distinti
Posizione dell’immediatezza dell’essere
Determinazione della posizione dell’essere
Toglimento della negazione dell’essere e mediazione dell’immediato
L’immediato, l’inclusione dell’immediatezza e l’identità
L’incontraddittorietà dell’essere e l’essere come relazione
Relazione e identità
Il principio come sintesi dei principi di identità e non contraddizione
Significato concreto dell’identità
Il togliersi dell’astratto
Identità come identità dell’identità e della non contraddizione
L’essere e la relazione tra F-immediatezza e L-immediatezza
Determinazione reciproca e unità
L’unità dei distinti
CAPITOLO TERZO
L’aporetica del nulla e il tema della contraddizione
L’aporetica del nulla
Premesse per la soluzione dell’aporia
Il nulla come significato autocontraddittorio
Il risolvimento dell’aporia
Il senso della soluzione dell’aporia
Il nulla e la contraddizione
Contraddizione e contraddirsi nell’opera Fondamento della contraddizione
Approfondimento tematico: il ruolo della negazione all’interno del p.d.n.c.
Il p.d.n.c. in Aristotele e l’interpretazione di Severino
Negazione formale e negazione trascendentale
La relazione come atto
Contraddizione e contraddirsi
Struttura contraddittoria della contraddizione e incontraddittorio
Il ritorno a Parmenide di Severino
CAPITOLO QUARTO
Digressione critica: il parricidio secondo Severino
Il presunto errore di Parmenide
La scelta di Parmenide
L’apparire e l’apparire dell’opposizione di essere e niente
L’essere e la relazione
L’entificazione dell’essere
Essere ed esistere
La legge dell’opposizione del positivo e del negativo
L’essere come immediato e come verità
CAPITOLO QUINTO
Sintesi e significato originario
La totalità del F-immediato
L’analisi del significato originario
L’analisi del significato originario e il suo limite
Relazione e oltrepassamento
L’essere formale e la sua entificazione
Sul concetto di «sintesi»
Il primato della relazione (sintesi)
Il concetto di «transazione»
Precisazioni in ordine al concetto di «transazione»
Ontologia e relazionalismo
La priorità della relazione in Severino
Alcune riflessioni critiche
L’unità del campo semantico
L’incontraddittorio come fondamento
CAPITOLO SESTO
Immediatezza, mediazione e dialettica
Analisi di S: costanti e variabili
L’argomento principe
Identità o struttura?
Immediatezza e mediazione
Mediazione come «costante di costante»
Il concetto di «convenienza»
L’universale concreto
Introduzione alla «dialettica»
Fondamento e totalità dell’immediato
La strumentalizzazione del negativo
La negazione del fondamento
Contrari e contraddittori
Il concetto di «concreto»
Severino e Hegel
Ancora su immediatezza e mediazione
Fondamento e cominciamento
CAPITOLO SETTIMO
Contraddizione C e intenzione di verità
La contraddizione C
Intenzione e progetto
Semantizzazione dell’essere (determinazione della verità)
L’intenzione di verità
L’alternativa e l’enunciato
Relazione e intenzione
L’intenzione e il fine in Severino
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La struttura originaria e l’apparire
Finalmente da qualche tempo si parla spesso di “struttura originaria”. Era ora! Ma ci si dimentica di sottolineare che anche “l’apparire” è una “struttura”, cioè un complesso logico-semantico, una unità non semplice.
L’apparire, infatti, non è qualcosa di fenomenologicamente “puro”, ma un’identità-innegabilita’ logica, un esser-sé che nega di non esser non-sé.
Proprio in quanto l’apparire “è” apparire il “fenomenologico” è già “logico”, così come il “logico” è già “fenomenologico” in quanto l’identità-innegabilita’ logica “appare” come identità-innegabilita’ logica.
Questa struttura fenomeno-logica si articola in 3 momenti, che costituiscono quell’unico atto che è “l’apparire”:
“l’apparire dell’apparire dell’apparire”, cioè la “coscienza di autocoscienza”.
«I significati che valgono come costanti sintattiche di ogni significato possono essere chiamati “costanti sintattiche illimitate” o “costanti persintattiche”. […] Si dica dunque che la presenza di un significato è formalmente distinta dalla presenza della presenza di quel significato; e quindi la presenza del campo persintattico è formalmente distinta dalla presenza della presenza di tale campo. Stante questa distinzione formale, segue che tutto ciò che si sa (tutto ciò che è presente, posto) non è necessariamente ciò che si sa di sapere; ossia non è autocontraddittorio affermare che ciò che si sa di sapere costituisca un orizzonte meno ampio di ciò che si sa.
Orbene: se ogni orizzonte posizionale è necessariamente posizione del campo persintattico, non ogni orizzonte posizionale è posizione della posizione di quel campo. Quest’ultimo sta sempre dinanzi – e quindi proprio esso è l’immodificabile destino dell’uomo -, contenuto essenziale della presenza, chiarità o epifania essenziale: resta nascosto soltanto in quanto non ci si avvede di averlo sempre dinanzi, così come la luce è nascosta soltanto in quanto l’occhio si perde nei colori e, pure vedendo in ogni colore la luce, non le riserba alcuno sguardo. E appunto in questa situazione si trova la coscienza comune o prefilosofica: di non porre o di non avvedersi mai della presenza del campo persintattico. Ciò che attira l’attenzione è la novità del contenuto: il cangiamento, la sorpresa, l’imprevisto hanno una presa che non concede alcun tempo al calmo sguardo sul permanente campo persintattico. La novità provoca l’appariscenza, e l’appariscente è appunto ciò che la coscienza comune sa di sapere: il permanente, che pure è la stessa condizione della manifestazione dell’appariscente, non suscita invece interesse, e pur essendo costantemente saputo, non si sa di saperlo».
Emanuele Severino, La struttura originaria, Adelphi, Milano 1981, pp. 445-447.